Racconti 49-56



N.49  Il Sovvertimento

 

In un giorno di primavera davanti alla casa di campagna di Resh si fermò un buffo camioncino di tela verde da cui scese uno strano personaggio: questi suonò il campanello e attese fuori del cancello.
Resh di solito, quando qualcuno suonava, chiedeva chi era al citofono  e poi, ovviamente, apriva, se era il caso; ma quella mattina non aspettava nessuno e già da un po’ stava passeggiando in giardino…così andò lui stesso a vedere il visitatore.
“Chi sei? Che cosa vuoi?” Chiese al buffo omino che gli si era presentato davanti.
“Faccio parte di una organizzazione che premia il miglior giardino. Il tuo è già bellissimo, ma non ci sono alcune varietà di piante che invece io potrei offrirti. Guardale!” E in un attimo scostò la tenda posteriore del furgoncino mostrando una profusione di colori di fiori mai visti.
Resh, affascinato, era uscito dal cancello; cominciò ad esaminarli: come erano belli! Che colori stupendi, che corolle grandi e vellutate!!
“Costano molto?”
Chiese, ormai attirato da quella bellezza sgargiante.
“Niente” assicurò l’omino, “solo un po’ di spazio per metterli a dimora. Sai, io sono incaricato di diffondere questa nuova qualità di piante nella tua zona; la nostra organizzazione sorvola la campagna con l’elicottero e quando i nostri incaricati  vedono un posto “giusto” cioè un giardino ben curato e ricco come il tuo, allora gli destinano i migliori prodotti. Fammi entrare e in poche ore sistemerò tutte queste piantine da te, gratuitamente.” Resh aprì tutto il cancello: il camioncino entrò a marcia indietro. L’ometto indosso un grembiulone verde  da giardiniere e cominciò ad interrare con una sveltezza e un’abilità incredibili centinaia di vasetti fioriti (Resh non avrebbe mai pensato che ce ne fossero tanti in quel trabiccolo). Appena posti in terra, i vasetti si scioglievano e le piante immediatamente crescevano, raggiungendo in pochi minuti tre, quattro volte la loro primitiva altezza.
L’omino ad ogni piantina bisbigliava qualcosa e Resh, incuriosito, si era accostato a lui per cercare di apprendere quel linguaggio magico.
“Dico loro solo di crescere e di essere belle; niente altro, credimi e lo puoi fare anche tu, prova!”
Resh allora prese in mano un vasetto con una campanula già molto grande di un color arancio favoloso e la pose in terra dolcemente dicendo: “Su, da brava, cresci e sii bella!”
E la campanula in terra, obbediente, crebbe immediatamente e divenne grande quattro volte la sua dimensione di prima.
Resh, allora, tutto entusiasta, prese ad aiutare l’omino: dal furgone le piante uscivano sempre e non finivano mai.
“Penso che bastino” disse Resh, “altrimenti non resterà più spazio”.
“No, no, ce ne entrano ancora” rispose l’altro. E dopo le piantine fu la volta di una fontanina  con dentro dei pesci esotici, e poi un’altra e poi un’altra… quindi comparve una voliera  con tanti uccelli dalle piume variopinte e poi un’altra e poi un’altra…
“Basta, basta!” diceva Resh, “mi stai rivoluzionando il giardino! Non ho mai pensato di avere qui una tale confusione!”
Ma ormai senza più dargli ascolto, l’omino continuava a far uscire da quel suo incredibile aggeggio “cose” ornamentali di ogni tipo che da piccole diventavano grandi appena messe a dimora.
Resh era sempre più stupito e sconvolto; un forte senso di disagio e soffocazione l’aveva afferrato, tuttavia non riusciva a frenare la dilagante esuberanza di quell’ospite così strano. Inoltre da qualche parte nella sua mente “vedeva” ancora in lontananza, ma sempre più vicina una folla di topi, gatti, faine, volpi e pipistrelli che desideravano nutrirsi di quei pesci e di quegli uccelli e che avrebbero invaso il giardino…poteva “sentire” la loro cupidigia, poteva “vederne” la fame a la brama di sangue…e si sovvenne di quella frase biblica che dice: “Il tuo Regno è stato giudicato…sei stato posto sulle bilance e sei stato trovato mancante… il tuo Regno sarà diviso…” (1)
“Basta!” urlò: “basta!! Non ne posso più! Portati via tutte queste cose, non le voglio! Ti avevo dato il permesso di interrare  qualche piantina nel giardino, non di creare questo finimondo.
Vattene tu e le tue bestie e le tue piante strane.
Non voglio niente di niente. Va via!!”
E preso in mano il Fuoco Sacro che ardeva sempre nel cuore della sua Casa, lo scagliò con forza contro tutta quella baraonda.
Come per incanto le cose ornamentali, le voliere con gli uccelli, le vasche con i pesci e tutte le piante con i fiori giganteschi, subito rimpicciolite se ne tornarono nel camioncino: in un battibaleno.
L’omino riprese i vasetti, tornati piccoli dalla terra, li riaccomodò nel retro del suo furgoncino, poi mentre Resh chiudeva sonoramente il cancello alle sue spalle, avviò il motore e scomparve con il suo trabiccolo in una nuvola di polvere…
La pace era tornata. Resh rientrò in Casa; per quel giorno la passeggiata era finita. Anche quella mattina aveva imparato qualcosa: che cosa significa il SOVVERTIMENTO dell’ordine e che cosa vuol dire il SOVVERTIMENTO del SOVVERTIMENTO dell’ordine, cioè il ritorno all’ordine “ordinario” delle cose. Allora sospirò e si accinse ad accudire al Fuoco, come al solito.
(1) Dn. 5, 27-28

 

 

N.50  Il Crogiuolo

 

Ben Hami, il vecchio rabbino cabalista e alchimista, sconosciuto da tutti nella sua cittadina, ma assai noto negli ambienti esoterici per i suoi poteri occulti, nonché per la sua saggezza e bontà, aveva assunto da poco al suo servizio un apprendista, un giovinetto scelto tra i tanti che si erano presentati allorché il Vecchio Maestro aveva espresso il desiderio di avere un Discepolo.  Poiché il desiderio era stato formulato con un pensiero potente e realizzante, gli aspiranti discepoli erano venuti a decine. Ben Hami li aveva esaminati uno per uno solo con lo sguardo e quando il giovane Samuel gli era comparso dinanzi, gli aveva detto semplicemente:
“Tu puoi restare”. E aveva mandato via tutti gli altri.
Samuel era bello, biondo, sottile, un giovinetto dai lineamenti nobili e gentili: egli si era messo subito a disposizione del Vecchio Saggio; le sua mansioni principali erano quelle di preparare il cibo per il Maestro e tenere in ordine il laboratorio e il piccolo orto – giardino; a poco a poco, egli sperava, avrebbe anche appreso i suoi segreti alchemici.
Ogni giorno egli doveva spolverare e lucidare le provette e gli alambicchi, ma ben presto si accorse che il Maestro non li adoperava mai e invece passava lunghe ore nel giardino situato nel retro del laboratorio oppure lunghissime ore dinanzi al caminetto acceso, quasi senza parlare; a volte poi restava chiuso nella sua stanza da letto per giorni, e Samuel, disorientato, non sapeva che fare, allora osava prendere i libri dallo scaffale e li studiava…erano tutti Testi Sacri.
Col passare del tempo aveva poi notato una cosa strana: tra le varie attrezzature del laboratorio c’era un grosso vaso di materiale refrattario a forma di coppa chiusa, indubbiamente un Atanor, un Crogiuolo, che il Maestro gli aveva proibito di toccare; la cosa strana era questa: ogni volta che il Maestro restava chiuso nella sua stanza, “quel” Vaso assumeva una sfumatura di colore diversa, come se gli si formasse intorno una certa foschia grigia non definita e non definibile che rimaneva fino a che Samuel la guardava con la coda dell’occhio e scompariva se cercava di fissarla… quando Ben Hami usciva dalla stanza, tutto tornava normale. La cosa si ripeteva ormai da mesi. Ora, Samuel, entrando a servizio dal Vecchio, ovviamente era preparato ad affrontare l’insolito, la Magia, il Mistero, ma “quel” Vaso lo turbava inesplicabilmente… Una volta decise di parlarne al Maestro: “Sono contento che hai potuto “vedere”, che hai “visto”. Questo significa che non mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma ora è troppo presto per sapere. Al momento giusto saprai.”
Passarono tre anni. Il Vecchio diventava sempre più vecchio e Samuel sempre più forte, come se si operasse occultamente un “travaso” dall’uno all’altro. Eppure mai il Maestro spiegava la Dottrina o la Legge direttamente o apertamente a Samuel; ma Samuel quasi per osmosi assorbiva la sua Energia, la sua Anima, il suo Spirito e “conosceva” sempre di più. Ormai poi, avvertiva quella trasformazione particolare del Crogiuolo come un’attrazione, un richiamo quasi dolorosamente fisico, ancor prima che il Maestro si ritirasse in solitudine per “operare”… Quello era il segnale: Samuel sentiva il Crogiuolo come un’entità viva che subiva all’interno una qualche misteriosa palingenesi, sempre in relazione con i ritiri del Maestro e con le sue crescenti facoltà conoscitive. Il colore dell’aura di quel Vaso non era rimasto sempre uguale, ma aveva subito delle mutazioni in quei tre anni: nel primo anno si era mantenuta sul grigio, nel secondo era diventata bianca luminosa, nel terzo rosa acceso, ora stava virando sull’arancio…
Samuel non aveva più parlato di questo col Maestro, ma una sera si fece coraggio e affrontò l’argomento:
“Sì, ora è giunto per te il momento di sapere” gli rispose il Vecchio: “Sto per andarmene e lasciarti. Tu sai bene che devi prendere il mio posto, ma non come mio sostituto, ma come mio successore e la giusta regola della successione è che “il Discepolo deve superare il Maestro”, altrimenti il Maestro non è un buon Maestro. Ciò che io ti trasfondo è il me stesso che debbo perdere per poter Essere, questa operazione rappresenta il mio “Servizio” a te, la mia eredità e quando la mia ultima fase dell’Opera al Rosso sarà completa, il Crogiuolo che tu sai si dissolverà e tutti i miei poteri saranno tuoi completamente: il mio punto d’arrivo sarà la tua partenza. Sta attento a non commettere i miei errori. Io ho dovuto aspettare di essere vecchio e stanco per poterti trovare e per potermi Reintegrare; tu invece sei già pronto, puoi farlo in gioventù, nel pieno delle tue forze. Non rifiutare, come feci io, la “Donna”, ma sappila cercare, trovare e fonderti “giustamente” in Lei, che Essa diventi il tuo “Vas spirituale, Vas Honorabile, Vas insigne devotionis”, cioè il tuo “Crogiuolo”. Questo è il mio testamento: ti ringrazio di avermi permesso di compiere il mio Servizio. Addio”.
Il Vecchio si ritirò per l’ultima volta nella sua stanza e Samuel rimase nel laboratorio a guardare  l’Atanor: in poche ore esso divenne di un colore oro intenso… poi scomparve definitivamente. Samuel seppe allora che il Vecchio Rabbino pur operando con un solo Vaso si era reintegrato e che il suo Spirito era disceso in lui con tutto il suo Amore, con tutta la sua Saggezza, con tutto il suo Potere. L’Apprendistato era finito, ora doveva solo andare via, cercare la sua “Donna”, trovarla e unirsi a ”Lei”, secondo la volontà del suo Maestro.
E così Samuel chiuse il laboratorio di Ben Hami e partì.

 

 

N.51  L’Eccitante

 

Cenn fuggiva. Nella casa paterna in cui era vissuto fino a quel momento non poteva più rimanere perché, istigato dalla madre, aveva ingannato il padre e usurpato la Benedizione del fratello; così ora vagava per la campagna, in cerca di una dimora, di una famiglia, di un lavoro… La madre, che l’aveva sempre favorito e preferito, aveva desiderato per lui una moglie della sua famiglia ed egli, obbediente, si stava recando verso oriente, dove sapeva risiedevano i parenti di lei.
Andava per la campagna e le colline, chiedendo a tutti quelli che incontrava la via… era alto, grosso e molto robusto, incuteva paura e rispetto. Non aveva ricchezze con sé, solo la forza, l’onestà, la volontà.
Un oracolo prima della sua nascita aveva predetto che sarebbe diventato il capostipite di una grande nazione, ma la momento la situazione non lasciava certo presupporre un futuro roseo… andava, dunque come un qualunque viandante… come un ebreo errante.
Un mattino di primavera giunse in un villaggio di pastori: chiese lavoro e gli fu affidato un gregge; lo custodì per una settimana di giorno e di notte, al termine del tempo stabilito gli fu offerto il normale salario, un capretto di un anno, ma Cenn lo rifiutò.
Chiese invece di poter visitare la Stalla del Toro sacro che veniva venerato nel villaggio. Era questo un toro enorme, assai potente, di origine divina, dicevano. Nessuno ricordava di averlo visto nascere e nessuno sapeva di preciso come fosse capitato in quel luogo; tutti contribuivano a nutrirlo: era lungo circa dieci metri, alto sette, solo il muso era grande come un toro normale. La Stalla era considerata Tempio e gli abitanti del villaggio vi si recavano per oracoli, consulti, o interpretazioni di sogni; nessuno però osava entrare nell’interno, rimanevano nell’atrio e dai muggiti e vari scalpitii deducevano i responsi. Cenn, ottenuto il permesso di visitare la Stalla, decise di attendere l’alba: voleva essere solo per entrare, vedere, provare, sapere. La sera prima si recò sulla collina ad impetrare l’aiuto della Divinità Femminile che da sempre, nella persona fisica della madre, l’aveva protetto… e una Luna di dimensioni gigantesche, rosata e su cui era raffigurato uno stupendo volto di Donna, gli sorrise, piena di promesse. Era quello un presagio molto favorevole: la sua impresa del giorno dopo avrebbe avuto successo.
La mattina dopo, come stabilito, si recò là dove era la Stalla, un’ampia costruzione di legno, edificata intorno al corpo del Toro sacro: da una specie di finestra sporgeva la coda, dalla parte opposta il muso con le corna, appoggiato ad una grande mangiatoia; il resto era nascosto dal legno. Cenn studiò a lungo la situazione, poi si decise a salire sulla coda: era come il tronco di un albero, mobile, perché il Toro la muoveva in continuazione. Cenn era ben consapevole di essersi prefisso il difficilissimo compito di “dominare il Toro”: doveva dimostrare a se stesso di essere degno della “Primogenitura” e della “Benedizione” paterna usurpata. Se fosse riuscito nel suo intento, la popolazione locale l’avrebbe accolto come un eroe e la fama del suo coraggio gli avrebbe consentito di aspirare ad un ricco matrimonio tra i parenti della madre.
Aggrappandosi dunque ai robusti peli di quella enorme coda Cenn riuscì ad arrivarne all’attaccatura; il fetore era terribile, ma egli, cercando di non respirare, riuscì a vincerlo e poté salire sul dorso dell’animale.
Ora era dentro la tana del mostro; questo, a sentirsi camminare sopra, cominciò ad agitarsi e a scrollarsi ma Cenn, pur temendo di cadere ad ogni momento, col pericolo di essere maciullato dagli zoccoli del bestione, continuò il suo percorso e in breve gli giunse all’altezza del collo.
Qui aveva due possibilità: tentare di uccidere il Toro, infilandogli il coltello nella gola, o semplicemente, trovare il sistema di sottrargli l’energia per appropriarsene…decise per questa seconda soluzione; si portò sulla parte più alta del collo, dietro le corna, si tolse i sandali e, scostati i folti peli setolosi spessi come corde, affondò i piedi nudi nella pelle del bestione, poi con le mani robuste afferrò le terribili corna e vigorosamente le tirò a sé per costringere il Toro a piegare la testa all’indietro…un fremito violento pervase entrambi come se un fulmine avesse scaricato tutta la sua corrente nelle corna della bestia… tutta la Torità si ribellava in quell’attimo. Il cuore di Cenn fu scosso e tremò ma egli sapeva che doveva resistere assolutamente e sarebbe stato perduto.
Ebbe paura. Ma ricordò il presagio lunare, l’oracolo sul suo destino glorioso e resistette. A poco a poco i sussulti della bestia si calmarono ed alla fine essa cedette docile al volere del suo dominatore e piegò la testa all’indietro. Cenn poté allora scivolare sulla sua fronte e lì toccare la stella a cinque punte, simbolo della divinità del Toro. Quel tocco completava la signoria. Cenn scese poi lungo il naso della bestia, era ormai allo scoperto, doveva solo percorrere la mangiatoia per riuscire in aperta campagna. Tutti i pastori del villaggio erano radunati davanti alla Stalla per conoscere l’esito dell’impresa. Nessuno aveva creduto alla vittoria dello straniero. Gli furono offerti cibi, doni, ospitalità, ma egli rifiutò tutto: doveva recarsi al più presto al paese della madre per sposare una donna della sua gente… così riprese il cammino verso oriente, ma ora si sentiva sicuro e forte, aveva in sé il potere “taurino” quello che consente di governare il Popolo, i Popoli, le Nazioni…
….A questo punto della favola potremmo dire in due parole che il nostro personaggio si recò effettivamente nella terra dei parenti della madre, ottenne una principessa in moglie, ebbe molti figli e divenne così capostipite di molte tribù, secondo l’oracolo, ma… la leggenda ci dice molto di più. Pare (così raccontano gli Antichi Saggi) che egli quella sera stessa, dopo aver viaggiato tutto il giorno, si coricasse su una “pietra” particolare e avesse questo sogno:
“Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli stava davanti e disse: “…Io Sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai…saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra…” Allora egli si svegliò dal sonno ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la Casa di Dio, questa è la Porta del Cielo”. Poi prese la pietra che si era posta come guanciale e la eresse come stele e versò olio sulla sua sommità e fece questo voto: “Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio Padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra che io ho eretto come stele, sarà una Casa di Dio; di quanto mi darai io Ti offrirò la decima”. (1)
…Ma sì, ma sì! Sappiamo tutti che questo è quanto ci dice di lui la Leggenda e sappiamo pure che Essa ci narra poi tutte le sue avventure  e disavventure fino al pieno realizzarsi della predizione dell’oracolo…
Ma a noi questa storia così come era raccontata non ci pareva convincente. Come potevamo accettare la manifestazione del “Tremendum”, dell’Eccitante  per eccellenza nel nostro eroe senza un “merito” che avesse attirato la “grazia”? Per questo siamo andati a spulciare le “memorie occulte”…
Questo raccontino è il “retroscena” che ne abbiamo ricavato.
Ora, se vi è piaciuto, ne siamo ben felici; se non vi è piaciuto, ci scusiamo tanto e…speriamo di essere più bravi un’altra volta!
(1) Gn. 28, 12-22

 

 

N.52  L’Arresto, il Monte

 

Kenn era nato a Malkuthopoli, il quinto di sei fratelli, tre maschi e tre femmine, in una meravigliosa famiglia. Essendo il maschio più giovane, era stato accolto con grande festosità dai suoi ed era quindi molto amato; per natura tranquillo, mai agitato, in poco tempo aveva imparato a camminare e a parlare, certamente prima degli altri bambini della sua età, ma poi, crescendo, era divenuto sempre più solitario: si appartava e spesso passava delle giornate completamente in silenzio.
Era così giunto all’adolescenza, sempre con questa sua caratteristica di inerzia – isolamento…”Perché non giochi con i tuoi fratelli?” Gli chiedeva il Padre un po’ preoccupato e Kenn invariabilmente rispondeva: “Voglio prima sapere che cosa ci sto a fare qui. Quando lo saprò, allora forse tutto sarà diverso; per ora non lo so e non mi va di giocare”. E immusonito se ne scappava in un angolino a rimuginare i suoi pensieri. La Madre, che aveva un debole per quel suo rampollo più piccolo lo circondava di affetto: quel figlio le somigliava più di tutti gli altri, quasi fosse lei stessa al maschile e  aspettava ansiosamente che, crescendo, trovasse la sua Strada, la sua Via.
In un giorno di primavera, era aprile inoltrato, Kenn, dopo aver a lungo vagato per la campagna intorno a Malkuthopoli, si fermò presso un albero di acacia, frondoso ed accogliente. Si sedette alla sua ombra e cominciò a riflettere sul problema che lo aveva assillato fin dalla più tenera infanzia… Perché sono qui? Dove sto andando? E soprattutto Chi sono? Domande che apparentemente non avevano nessuna risposta per lui, domande alle quali i suoi genitori e fratelli avevano risposto invece con molta disinvoltura: il Padre aveva detto: “siamo creativi, perciò il nostro compito è creare”; la Madre aveva sentenziato: “siamo ricettivi, perciò dobbiamo accogliere”; il fratello più grande, non soddisfatto delle risposte dei genitori aveva offerto la sua: “siamo eccitanti, perciò dobbiamo eccitarci a vicenda”; la sorella più grande aveva  ribattuto: “non è vero, siamo miti, perciò dobbiamo penetrarci…”; il fratello mezzano, un carattere molto introverso, aveva anche lui voluto dare il suo parere: “siamo abissali, perciò dobbiamo inabissarci in noi stessi”; mentre la sorella mezzana, tutta fuoco, aveva gridato: “siamo risaltanti, dobbiamo risaltare l’uno con l’altro!” infine la sorella più piccola, non richiesta, aveva pacatamente affermato: “siamo sereni, dobbiamo perciò essere quieti e nient’altro!”
Ma Kenn non era soddisfatto; doveva trovare la “sua” risposta, quella che gli avrebbe permesso di essere Ciò che realmente egli era.
Là, seduto sotto quell’accogliente mimosa, chiuse gli occhi e cominciò a meditare. Vedeva montagne: tutto un paesaggio di crode e picchi, di cieli tersi e nuvole basse, di nevi perenni e di silenzi arditi e se stesso vagante in quell’ambiente così insolito per lui… comprese in sé tutte le risposte dei fratelli e dei genitori… si rilassò e si lasciò andare alla visione. ….
Ora si trovava su di uno stretto viottolo in salita, camminava leggero leggero come se fosse un capriolo… sembrava dovesse avere un appuntamento con qualcuno, proprio sulla cima di quella montagna; infatti, giunto al termine di quel sentiero, si trovò di fronte ad una capanna, assai graziosa nella sua semplicità: pareva il rifugio di un eremita…bussò. Sollecitamente la porta si spalancò… ma dentro non c’era nessuno, nessun essere visibile perlomeno, perché quando Kenn ebbe oltrepassata la soglia, udì una voce sottile, calda, accogliente, femminile dire: “Sei benvenuto. Ti aspettavo, accomodati e rifocillati”. Kenn sentì di aver “fame”. Sul tavolo c’erano un pane e un’ampolla di olio; gustò il pane condito con l’olio; non ne aveva mai assaggiato di così buono; poi ritemprato, si guardò intorno e vide che la capanna aveva perduto le sue pareti, come se si fosse ingrandita all’infinito, il soffitto era diventato cielo e il pavimento roccia…allora la voce di donna calda e sottile, riprese: “Sei giunto fin qua per rispondere alle tue domande: tu vivi a Malkuthopoli e ti senti a disagio con i tuoi perché non hai ancora trovato la tua vera identità, quello che sei e quello che vuoi; ora che “Ci” sei, io ti posso aiutare; sono la tua donna interiore, la tua controparte sottile, non mi puoi vedere perché sei ancora troppo giovane, ma tra qualche anno ci incontreremo di nuovo e tu mi amerai e mi sposerai… intanto segui il mio consiglio: guardati bene, vedi “Ciò” che sei, la tua Natura particolare; in base ad essa, “saprai” i tuoi doveri e i tuoi diritti e di conseguenza lo scopo del tuo esistere…”
Kenn si guardò: guardò i suoi piedi e vide due robuste radici; guardò il suo corpo e vide come una massa di pietra dura; guardò le sue mani e vide radici aeree…ebbe un brivido di paura: aveva dunque perduto il suo aspetto umano? Immediatamente si sentì brutto, goffo, pesante, inerte…provò a muoversi, ma non ci riuscì: i piedi erano “radicati” al suolo; volle fuggire…ma non poté: era fatto di pietra. Allora tutto il suo essere urlò: “No. No, non voglio essere così!”
Cerco di respingersi e subito forti dolori fisici lo pervasero da tutte le parti. Ed ecco un pensiero: se era di “pietra”, come poteva “guardarsi”? Eppure “vedeva” come se la pietra del suo corpo fosse tutta un grande occhio…La voce della sua donna lo rassicurò: “Non aver paura di Te, questa tua particolare Immagine è solo per farti conoscere come sei veramente. Identificati con essa a abbandonati alla sua potente Essenza, non ostacolare la Natura… solo così potrai essere sicuro di te e felice…
Kenn alla voce dell’amata smise di temere e soffrire, smise di rifiutare il suo ruolo e divenne tutt’Uno con quella Pietra, tutt’Uno con la Radice; si fermò: divenne l’Arresto, il Monte e “Si” conobbe.
Una beatitudine totale pervase il suo essere e Kenn visse l’Estasi, visse la Realtà fuori del tempo, perduto nel Tutto infinito.
….. Uno gnomo, passando vicino alla mimosa sotto cui era seduto Kenn, guardò con affetto quel ragazzo addormentato: gli carezzò una guancia e gli sussurrò in un orecchio: “Sei il signore dell’elemento terra e perciò mio sovrano, comandami e ti obbedirò”. Kenn, ancora in sogno, proiettò il suo immenso occhio sulla sua casa a Malkuthopoli e la trovò vuota, non c’era nessuno: erano tutti fuori a cercare lui. Doveva tornare subito per ricostituire il nucleo familiare; lui era la “radice” della casata, il basamento del gruppo, lui, così piccolo e così inesperto, era la Pietra su cui gli altri sviluppavano i propri stupendi attributi…
Mentre stava per svegliarsi Kenn sorrise allo gnomo e gli disse: “Non mi occorre nulla, grazie mio suddito; ora so di essere il “Re” della Terra; so quale è il mio compito e sono felice”.
Kenn si svegliò, si alzò, fece un cenno di saluto con la mano alla mimosa e allo gnomo e se ne tornò a casa: era pronto a giocare con i fratelli.

 

 

N.53  Lo Sviluppo graduale

 

Da e Leth, una coppia di adulti bambini sempre alla ricerca della Verità, discutevano dello “Sviluppo graduale” dell’uomo, vale a dire della concreta possibilità per la “fanciulla” (la personalità) di essere data in sposa al “Re” (al suo Dio). Tema appassionante che li impegnava in lunghe chiacchierate durante le passeggiate in campagna, mentre si godevano lo spettacolo dell’alba o del tramonto del Sole.
Una sera di tardo autunno erano lì, dinanzi al caminetto acceso a giocare con l’I King; alla domanda di rito: “Che cosa dobbiamo fare per reintegrarci?” Il Vecchio Saggio aveva dato una risposta unica: “Lo Sviluppo graduale.” Da e Leth ci stavano meditando su da un po’ quando proprio dalle lingue del fuoco era comparso un piccolo disco volante, assai minuscolo prima, poi sempre più grande, che si era posato lieve sul tappeto del soggiorno, occupando quasi tutta la stanza. Da e Leth erano rimasti a guardare la strana cosa pieni di meraviglia, poi avvicinatisi con cautela, avevano aperto una specie di sportello e guardato all’interno. Dentro non c’era nessuno: solo una cabina a due posti e un monitor su cui era scritto “accomodatevi”.
Da e Leth si erano guardati: un lampo era passato negli occhi di Da e aveva trovato immediate risposta in quelli di Leth: avventura… istruzione… gioco…In un attimo avevano già accettato, erano entrati dentro e lo sportello si era richiuso alle loro spalle.
Sul monitor era comparsa subito un’altra scritta: “Abbiamo per voi alcuni quiz; ogni volta che darete la risposta giusta dimezzerete il vostro peso…quando sarete divenuti quasi aerei, allora conoscerete che cosa è lo “Sviluppo graduale”. Da e Leth si consultarono, poi Da rispose: “accettiamo di giocare solo se al termine dei quiz ci viene assicurata la possibilità di tornare allo stato in cui siamo ora, se vogliamo”.
“Certo” fu la risposta “se riuscite a risolvere tutti i quiz, potrete fare tutto quello che vorrete”. “E se non ci riusciamo?”
“Nulla. Sarà come se non fosse successo nulla. Vi sveglierete come da un sogno… ma dovrete sempre risolvere il problema dello “Sviluppo graduale”. I quiz erano scene reali che si svolgevano all’interno di quella strana cabina. La prima scena rappresentava una fontana zampillante. Una voce diceva: ”Se bevi da questa fontana il tempo per te diverrà soggettivo. A tuo piacere potrai allungare i momento più belli e accorciare i momenti difficili…bevi e potrai essere sempre felice!”
Da e Leth rifiutarono la bevanda della fontana del tempo: sembrava loro una droga che avrebbe favorito solo la pigrizia spirituale.
Immediatamente si sentirono molto più leggeri: il primo quiz era stato superato. La seconda scena rappresentava una biblioteca con tantissimi libri di esoterismo rari e antichi: avrebbero potuto prendere i libri che più li interessavano e tenerseli, se volevano…
Consultarono solo il volume riguardante l’argomento dello “sviluppo graduale”;  c’era scritto: “Per lo Sviluppo graduale puoi usare tutto, perché tutto è a Servizio, ma non “prendere” per accumulare… ti renderebbe solo più pesante”. Anche il secondo comportamento era stato “giusto” e il secondo quiz quindi superato… Leth e Da erano elettrizzati…
La terza scena era composta da un’alcova di stile orientale con l’aria satura di profumi afrodisiaci: loro stessi vi comparivano completamente nudi e incredibilmente attraenti l’uno per l’altro, una musica dolce e languida faceva da sottofondo… era indubbio che avrebbero dovuto unirsi tantricamente ma in quell’ambiente pareva difficilissimo: tutta la loro “arte” era alla prova: dovevano riuscire a far risalire l’energia accumulata nei centri inferiori per far rifulgere la Coscienza…
Anche il terzo quiz fu superato; lo seppero quando, guardando i loro corpi, li videro luminosi e quasi trasparenti.
La quarta scena trovò Da e Leth separati in due abitacoli diversi; ognuno aveva un monitor dinanzi e sul video gli veniva mostrata la splendente luce e la grandezza spirituale dell’altro…si attendeva la loro reazione. Da e Leth, pur separati, esclamarono all’unisono: “La “Sua” Luce è l’Io Sono; la mia luce è la “Sua”: perché noi siamo Uno!”
Dicendo questo i due traboccavano d’Amore l’uno per l’altro. L’invidia non aveva neppure sfiorato i loro cuori. Da e Leth erano ormai leggerissimi e ricolmi di felicità. Il quinto quiz non creava scene particolari.
Sul monitor veniva annunciato che le risposte date fino a quel momento erano tutte sbagliate; avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo e non sarebbero usciti da quella situazione fino a che le risposte non fossero state “giuste”.
Da stava per scattare e protestare energicamente, ma Leth lo trattenne: “E’ in giudizio la nostra capacità di rimanere calmi e sereni senza arrabbiarci in una situazione ingiusta; è la prova dell’ira.  Respira profondamente e sorridi; insieme riusciremo sempre a dare la risposta giusta.” Anche il comportamento richiesto dal quinto quiz era stato conforme…Da e Leth erano ormai quasi di luce…
In men che non si dica si ritrovarono in uno splendido giardino, un vero Paradiso terrestre: alberi, sorgenti di acqua, fiori e frutti e animali belli e mansueti… al centro del giardino un albero particolare: i frutti erano sfere di luce quasi tutte accese. Una voce diceva: “Se volete assaggiare il miglior frutto del giardino, lo potete. Avvicinatevi all’albero centrale e cogliete le sfere di luce; mangiandole aumenterete il vostro splendore all’infinito… la voce era calda e suadente e melodiosa… Da e Leth si erano accostati all’albero e Leth stava per allungare una mano e toccare una sfera di luce…ma Da la fermò in tempo. “No. No! Questo è il sesto e il settimo quiz; c’è qui insieme la prova della gola e della superbia. Non dobbiamo mangiare il frutto proibito, guardiamo senza toccarlo l’albero del bene e del male, diverrà per noi l’Albero della Vita”.
Immediatamente l’albero s’incendiò di luce e il suo splendore divenne indicibile. Da e Leth si ritrovarono nella cabina del disco volante; non potevano credere alla loro leggerezza e si dicevano: “Certo è così perché siamo in uno spazio – tempo diverso da quello terrestre e poi forse dipende dalla pressione atmosferica…” Ma la loro non era una alterata condizione fisica, ma uno stato di beatitudine totale.
Poi finalmente “Si” videro: erano luminosissimi, erano belli, erano trasfigurati, erano giovani, erano Veri.
Si accese ancora il monitor: “Allora, volete sempre tornare come eravate prima? La terra può ancora attrarvi  con la sua gravità…in ogni caso sarete “diversi” in quanto siete mutati nella “carne”…la vostra Pietra è diventata Pietra d’angolo ed ora siete in grado di sedere su di essa…
Da e Leth si guardarono negli occhi…no, non c’era alcun motivo di rimanere sulla terra. Non legami, non attaccamenti, non interessi.
Erano insieme Una Cosa Sola e perciò potevano affrontare il nuovo stato di Essere.
Il disco volante con Dha-leth dentro cominciò a rimpicciolire fu attirato dal fuoco e inghiottito dalle fiamme.
Nel soggiorno ormai tranquillo non rimase più nessuno.

 

 

N.54  La Ragazza che va sposa

 

Il rito sarebbe stato celebrato a mezzanotte, nel primo plenilunio di primavera. Kui Me era già pronta per il matrimonio da sette anni, ma nessuno in tale periodo l’aveva scelta come prima moglie; ora finalmente sì, avrebbe potuto sposarsi, ma solo come moglie secondaria.
Non era certo questa una posizione sociale invidiabile, ma Kui Me voleva avere dei figli e se avesse aspettato ancora, nessuno l’avrebbe più voluta, neanche come moglie di secondo grado. Perciò non aveva alternativa.
L’Uomo a cui tra poco sarebbe stata unita in matrimonio non era molto giovane, ma ricco, forte e potente; avere figli con lui sarebbe stato onorevole e conforme alle Leggi.
Il corteo che recava la sposa dinanzi all’altare ai piedi del quale si sarebbe celebrato il rito degli avi, avanzava lento lento lungo la riva del lago. La sposa era tutta vestita di bianco, quasi bella con quel suo volto ovale dal pallore madreperlaceo, gli occhi obliqui a mandorla e i capelli nerissimi e lunghi che spiccavano come un mantello di soffice seta sulle sue spalle. Essa doveva, secondo il rito antico, danzare la sua ultima danza di vergine sulla riva del lago; poi avrebbe mutato l’abito bianco in rosso; infatti le altre donne del corteo ad un certo momento l’avrebbero circondata, denudata e rivestita: la sposa sarebbe emersa dal gruppo con la veste color porpora, ormai sposata ufficialmente: non avrebbe più fatto parte della famiglia da cui proveniva, ma sarebbe diventata a tutti gli effetti proprietà del marito.
Quella notte tutto si svolse secondo la consuetudine; dopo e festeggiamenti, verso l’alba, Kui Me salì sulla lettiga accanto al suo Signore, come d’uso. Egli l’avrebbe condotta nella sua Casa, presentata alla prima moglie e poi lasciata; trascorsi sette giorni, avrebbe vissuto con lei la prima notte di nozze.
Gli oracoli avevano previsto per quella data una unione molto favorevole alla nascita del primo figlio che, se fosse stato maschio, avrebbe ereditato i beni del Padre: il Signore della Casa non aveva avuto figli maschi dalla prima moglie. Kui Me scese dalla lettiga aiutata dal marito ed entrò in quella che sarebbe stata la sua abitazione per sempre. Nell’atrio la primo moglie le diede il benvenuto, Kui Me le si inchinò con riverenza e poi fu introdotta nelle sue stanze. Due serventi l’aiutarono a spogliarsi, poteva riposare fino a mezzogiorno; intanto iniziava per lei quell’attesa tradizionale di sette giorni.
Erano sette giorni di apprendistato, sette giorni di adattamento, sette giorni importantissimi per quello che sarebbe stato il suo inserimento nella famiglia.
Kui Me non era più giovanissima, sapeva bene quanto fosse difficile entrare in un ménage già costituito, eppure era suo vivo desiderio essere ben accetta; voleva servire il suo Signore, avere figli a cui accudire, voleva dare e ricevere affetto e amore.
I suoi non avrebbero voluto che si sposasse in quel modo, ma a lei quell’Uomo era apparso buono e bello e quando l’aveva chiesta, aveva accettato la sua corte, ed ora era sua moglie.
Si trovava all’inizio di una nuova vita: ad un “principio”.
Quelle prime ore di “sposa” furono vissute in un’alternanza di sentimenti e stati d’animo caotici e disordinati: a momenti il cuore le si gonfiava di timore: temeva di essere poco gradita, di non riuscire ad avere quel Figlio maschio che si voleva da lei; di non sapersi adattare alla nuova situazione; allora le lacrime le scendevano copiose lungo le gote pallide e a stento poteva trattenere i singhiozzi. In altri momenti invece si sentiva contenta della scelta fatta: non era più di peso alla sua famiglia, ora era sposata, con i figli il suo essere donna avrebbe raggiunto il pieno appagamento…
A mezzogiorno la prima moglie la chiamò nel suo appartamento e le spiegò quale doveva essere la sua posizione nei suoi riguardi: docile e sottomessa in tutto, come una sorella minore. Kui Me dominò il suo orgoglio e frenò la risposta arrogante che le era salita alle labbra: si costrinse ad accettare di buon grado tutto quello che le veniva indicato come “suo dovere” e si sentì subito più serena. Il secondo giorno dovette imparare a non essere gelosa né invidiosa: il Signore della Casa si recò dalla prima moglie e stette con lei tutto il giorno e tutta la notte. Kui Me sapeva già che questo sarebbe avvenuto normalmente, ma vivere l’esperienza era diverso, molto diverso. Sentì l’invidia e la gelosia divampare nel suo cuore e lottò tutto il giorno con se stessa… solo a sera capì che doveva “amare” la sua situazione; non c’era altro modo per vincere quei due terribili sentimenti…
Il terzo giorno venne istruita dalla donna più anziana della Casa sulla difficile arte di amare secondo i precetti della religione degli avi. Le fu insegnato come vincere il desiderio dei sensi, come acquietarli e renderli docili per mezzo della respirazione controllata e della volontà determinata. Il quarto giorno fu lasciata completamente libera di fare ciò che più le piaceva. Naturalmente essa sapeva che se avesse oziato sarebbe stato un giorno perduto. Allora si rese prontamente attiva e chiese di lavorare: cucire, ricamare, filare; infine mise ordine nelle sue stanze e le abbellì con lumi, fiori e piante.
Il quinto giorno le fu chiesto di scegliere le stoffe per il suo guardaroba, avrebbe potuto avere rasi, sete, velluti…scelse stoffe semplici e resistenti, colori luminosi e puliti: i suoi abiti li avrebbe cuciti da sé e le sarebbero durati tutta la vita. Il sesto giorno ebbe l’incarico della cucina: preparare con l’aiuto delle serventi i cibi per tutti: leggeri, saporiti, nutrienti…in misura giusta, senza inutili sprechi. Tutti mangiarono, tutti le furono grati: cominciavano a conoscerla e ad amarla. Il settimo giorno lo trascorse col suo Signore e a sera, indossato l’abito tutto d’oro, Kui Me fu unita a Lui.
Da quell’unione nacque quel Figlio maschio tanto atteso e, grazie a Ciò Kui Me, sposa secondaria, divenne la più amate delle spose, la Vera Sposa.

 

 

N.55  La Copia

 

Coph, il Ricercatore, un bel giorno si trovò dinanzi ad una grande scatola cubica chiusa; sulla parte superiore c’era scritto: “La Copia”. Coph avrebbe voluto aprire subito la scatola per vedere quello che c’era dentro, ma, guarda e riguarda, la trovò tutta sigillata: era come se fosse stata costruita in un solo blocco… per giorni e giorni egli continuò a toccarla, a rigirarla, a scrutarla, senza mai trovare il modo di poterla “conoscere” come avrebbe voluto. Essendo un “Ricercatore”, era ormai esperto di come andava quel genere di cose…si trattava di tener presente quella “copia” in un angolino del suo cuore-mente… E lì “covarla”… al momento giusto, come un uovo di gallina, si sarebbe schiusa da sé e avrebbe svelato il suo segreto. E intanto egli continuava a riflettere: ““copia” vuol dire “abbondanza”, gran quantità di qualche cosa, è ovvio, ma di che cosa? Entro quale stato coscienziale si sarebbe prodotta e manifestata tale copia?… Certamente in quello che lui, Coph, avrebbe scelto e voluto!
Una copia fisica? Ecco comparire dinanzi ai suoi occhi messi e frutta, oro e brillanti e pietre preziose… Oppure una copia astrale? Ecco colori e fantasia, gioia ed allegria… Voleva una copia mentale? Ecco suoni e musica, pensieri logici e discorsi dialettici…
Oppure ancora Altro?
Coph bussava su quella scatola misteriosa con le nocche delle sue dita mentali, sollecitando una conoscenza che non veniva.
Alla fine si domandò: “Ma che cosa è che fa sbocciare i fiori e schiudere i semi dei frutti?” …”Ma sicuro!! Il Sole!” si rispose e allora ricordò: doveva proiettare il proprio Sole interiore su quella scatola chiusa  e poi… stare a vedere. Tutti i “Ricercatori” più o meno esperti sanno sollecitare il proprio “Sole” a volontà; non è una tecnica che si apprende sui manuali (neanche su quelli esoterici) è un’arte che si impara con la pratica… essere Ricercatori infatti significa imparare ad usare sempre meglio il proprio Sole, la propria Luna, le proprie Stelle.
Si diventa Ricercatori solo quando si è dimostrato a se stessi che si è già in grado di conoscere e governare i propri Astri.
Dunque Coph mise a fuoco il suo “Sole” sulla scatola della Copia, aumentando gradualmente il calore…come era prevedibile, ad un certo punto la scatola si schiuse e…e ne uscirono fuori due ragazzi, un giovinetto e una giovinetta, tutti nudi, ma così belli e radiosi che si faceva fatica a guardarli. Coph si sentì subito attratto da quella coppia straordinaria e subito chiese loro: “Posso farvi alcune domande?”
“Siamo qui solo per risponderti” Risposero all’unisono i ragazzi.
“Come vi chiamate?” “Mi” rispose il fanciullo.
“Chi” rispose la fanciulla. “Quale è il significato del vostro nome?”
“Michi vuol dire abbondante” disse Mi. “Michi vuol dire pienezza totale” disse Chi. “Che cosa debbo imparare da voi? Che cosa debbo chiedervi per conoscere la Copia?” domandò ancora Coph.
“Guardaci” fu la risposta. Con i piedi nudi che si sfioravano, si presero entrambe le mani e cominciarono a girare in tondo, sempre più svelti, sempre più svelti. Coph, dopo qualche momento non riuscì più a distinguerli: vedeva solo una coppa di luce… ancora un po’ e poi da essa vide fuoriuscire messi, frutta, oro, pietre preziose…insomma tutto quello che aveva immaginato quando la scatola era ancora chiusa.
Le “cose” così prodotte fluttuavano per qualche minuto nell’aria e poi svanivano nel nulla, come riassorbite dall’universale.
Coph guardava muto e affascinato. Dopo un certo intervallo quella stesse coppa di luce iniziò una produzione di immagini e colori che solo a vederli suscitavano leggerezza, allegria ed entusiasmo: sembrava di essere in un mondo fantasmagorico e fluido… quasi in un mondo astrale. Ma anche quell’abbondanza di giuochi indescrivibili, ad un certo punto venne a mancare, si esaurì, semplicemente: svanì.
Ancora un breve intervallo e poi la coppa formata dalla danza dei due giovinetti cominciò a far fluire all’esterno suoni acuti e gravi, precisi, perentori: pensieri pensati, simboli e formule astratte, ma così perfette, così “vere” da sembrare quasi “reali”…
Coph continuava a guardare, completamente assorbito dallo spettacolo offertogli da quella danza tanto insolita…
Intanto, scomparsi i simboli e le formule, i pensieri ed i suoni, la coppia dei fanciulli aveva rallentato il girotondo e si stava fermando del tutto. I loro occhi erano come stelle e fissavano Coph: “Hai capito ora che cosa è la Copia? Tu hai conosciuto quella che si manifesta nei tre livelli di coscienza inferiori, quella che viene e che va; invece devi cercare Quella del Piano Divino, Quella che non viene e che non va!”
Coph, che era rimasto fino a quel momento come trasognato, si destò; vide Mi-Chi e disse: “Ditemi cosa debbo fare e lo farò.”
“Entra nel nostro girotondo, poniti al Centro e diventa tu stesso la Copia, vuoi?” gli proposero Mi e Chi.
Coph assentì col capo. Mi e Chi lo circondarono e cominciarono a girare… Coph si sentì centrifugare all’infinito… gli parve di essere disintegrato…per un attimo resistette, cercò di conservare la sua separatività, il suo essere Coph…ma non poté e  si arrese…
Allora l’Infinito precipitò in lui e l’Abbondanza Totale lo pervase, lo inondò, lo sommerse…
Fu così che Coph conobbe la Vera Copia.

 

 

N.56  Il Viandante

 

Tau era un viandante. Sento già qualcuno domandare: “Un viandante di che genere?” Ma un viandante! Un via-andante. Cioè uno andante per via. Chiaro? E adesso volete sapere per quale via?
Beh, siete proprio curiosi! Ma questo non ve lo possiamo dire per ora, lo saprete solo alla fine della favoletta. Anche perché, a dir la verità, al momento non lo sappiamo neppure noi e abbiamo il vago sospetto che non lo sappia neppure lui, sì, Tau, il nostro viandante!
Intanto lui era là, fermo dinanzi ad una locanda di campagna. Che cosa faceva? Cercava alloggio, sicuramente. Voleva un buon pasto e un letto per dormire…
“Ma allora che viandante era?” Chiederete voi: “In genere i viandanti veri non mangiano nelle locande, non dormono negli alberghi, ma si nutrono di frutta che trovano nei campi o di quello che ricevono per elemosina e i ponti o i fienili sono il loro tetto di notte…”
Sì, va bene, forse una volta era così… ma questo siamo convinti che fosse un viandante moderno, di quelli che fanno l’autostop e usano pure la carte di credito (ovviamente valida, validissima!)
Dunque, bando alle chiacchiere, entriamo con lui  nella locanda e vediamo cosa succede. Appena varcata la porta (una porta ad apertura automatica) egli si trovò nell’atrio; si guardò intorno: non c’era nessuno: né oste, né locandiere, né altri. Solo una voce si fece udire nell’aria: “Io Sono la Locanda stessa che ti parla: tu mi potrai visitare tutta, ma poiché ormai sei entrato, non potrai uscire a tua volontà, dovrai aspettare di vedere sullo schermo della sala proiezione la scritta “uscita”; potrai istruirti, se vorrai, cibarti a tuo piacimento, usare tutto quello che c’è…ma sappi che dovrai pagarlo di persona e ricordati che all’uscita non potrai portar via nulla di materiale con te… per il resto: fa quello che vuoi!!…” Se voi foste stati al posto del viandante, che cosa avreste fatto? Quello che fece lui: non potendo più uscire… decise di visitare quello strano luogo e, intanto che era lì, istruirsi, nutrirsi, riposare ecc., come previsto dal regolamento locandiero. Dopo l’atrio c’era un’unica stanza con uno schermo, si proiettava un film intitolato “Infanzia”; c’era una poltrona sola: Tau si sedette. Appena seduto vide scorrere vicende di una vita di bambino dal concepimento in poi… ma quando capì che il bambino era lui stesso, automaticamente si identificò con quello, entrò nel film e dimenticò di essere seduto in poltrona a guardarsi in un film… e così passarono i primi 14 anni.
Al termine di quel periodo comparve sullo schermo un altro titolo: “Adolescenza”. Nell’attimo che un film succedeva all’altro Tau ebbe la possibilità di ricordare che era solo uno spettatore, ma il fascino delle avventure – disavventure del personaggio dello schermo era tale che egli continuò a rimanere avvinto alla vicenda, tutto preso dall’”amore di sé”. E passarono altri 7 anni.
Il terzo film era intitolato “Giovinezza”. Bello, drammatico, pieno di contraddizioni, proprio in virtù di quelle Tau cominciò ad alternare stati di consapevolezza – Io viandante sto seduto in poltrona a guardare un mio film – a stati di identificazione con il Tau attore…
Passarono altri 14 anni. Intanto il Tau spettatore imparava tante cose, si nutriva del film stesso e riposava il suo corpo…
Ancora un nuovo film sullo schermo: “Maturità”.
Ormai Tau aveva acquisito gradualmente un doppio stato di coscienza: era protagonista e spettatore contemporaneamente e, in tale duplicità, si avvide di poter diventare spesso anche il regista del film. Se si concentrava molto, poteva influire sulle scene… non completamente, certo, ma quel tanto che bastava perché le storie dello schermo fossero sempre più consone a certe sue esigenze interiori. Tau, per esempio aveva in antipatia le scene drammatiche e violente…  le trovava ridicole. D’altronde una scena drammatica che fa ridere diventa grottesca, non istruttiva… in realtà Tau avrebbe voluto far assomigliare le vicende del film sempre più al ”modello” che aveva impresso nel suo Cuore-Mente, perché egli era sicuro che quando i fatti del film avessero coinciso col “Primitivo Progetto del Viandante” , lo schermo e la locanda si sarebbero dissolti ed egli si sarebbe ritrovato “Libero” completamente, senza dover aspettare la famosa parola “uscita”. Allora il suo “Andare” di Viandante sarebbe stato quello del Gran Tutto, l’Inizio e la Fine unificandosi…
Intanto il Tau regista-spettatore-attore pensava: “E se io volessi che la scena del film rappresentasse un viandante che, chiuso per esperimento in una locanda, sta dinanzi ad uno schermo a vedere un suo film in cui è rappresentato un viandante che, chiuso in una locanda, sta dinanzi ad uno schermo e vede un suo film in cui c’è un viandante ecc.”
(Capite quello che voleva raggiungere, vero?)
“A questo punto la realtà coinciderebbe con l’illusione…ecco voglio provare a vedere che succede!”
E stava già per formarsi sullo schermo l’immagine che replicava la sala della locanda col viandante dinanzi allo schermo quando…
La luce dello schermo si spense e si accese la luce della sala da proiezione e una Voce che veniva da tutte le parti e da nessuna in particolare tuonò: “No.
Questo non è il Primitivo Progetto. L’Andare del Viandante non è uno
sterile, insensato e cervellotico fluire dello spazio-tempo fine a se stesso, ma un Mirabile Giuoco di apprendimento di Perfezione.
Tu hai già imparato che devi far coincidere  volontariamente il tuo film con il Progetto, ma se non conosci bene il Progetto, come fai?
Devi imparare a spegnere il proiettore a volontà, allora la Voce del Verbo ti darà tutte le istruzioni necessarie; in effetti quella tua “folle” idea ha funzionato come interruttore “off”, ma un interruttore di quel tipo è pericoloso, può fare entrare in corto la Locanda… ce ne sono altri molto più adatti allo scopo e li devi scoprire da te… Se vai nella cabina di proiezione li conoscerai…lì ci sono anche i finali possibili di questo tuo film…”
Sapete allora che cosa fece Tau, Viandante Consapevole?
Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la Cabina di Proiezione per scegliere il finale “giusto” al suo film…
Adesso volete sapere che tipo di finale ha scelto?
Eh, no questo non lo possiamo svelare, è un segreto suo… però ora conoscete bene quale è la Via del Viandante...non vi rimane che cercare la vostra… può darsi che abbia la stessa Meta!!!