BIANCANEVE E I SETTE NANI
(azzardi interpretativi di Maurizio)

 

La favola dei fratelli Grimm nella versione di Walt Disney rappresenta, al di là del suo significato specifico, anche un evento speciale nella storia moderna del cinema: “Biancaneve e i sette nani”, infatti, fu il primo lungometraggio a disegni animati mai realizzato. Fu proiettato la prima volta il 21 dicembre 1937, dopo quattro anni di un intenso lavoro che impegnò più di 700 artisti e, comunque, costituì per l’epoca un’opera rivoluzionaria e anche economicamente rischiosa. Il successo fu enorme: si apriva un nuovo mondo artistico. Oggi si potrebbe sottovalutare l’importanza dell’avvenimento, in quanto il nostro senso della meraviglia è ‘anestetizzato’ dalla mole di prodotti tecnologici che ormai è entrata nella nostre vite, dall’abitudine agli ‘effetti speciali’ cinematografici, dalla costante presenza della televisione, eccetera. Allora, invece, un’opera a disegni animati doveva rassomigliare ad un concreto fatto magico, fantastico, misterioso, durante il quale era possibile vedere con i propri occhi muoversi e vivere cose che, fino a qualche anno prima, appartenevano soltanto al fabulistico mondo dell’immaginario. Da questo punto di vista, “Biancaneve e i sette nani” segnò probabilmente nella coscienza collettiva l’entrata in una nuova fase: la percezione diretta del ‘mondo sottile’, della dimensione ‘astrale’, appannaggio fino ad allora dei soli veggenti ed esoteristi, quasi una ‘prova’ concreta dell’esistenza del meraviglioso e della magia, comunque un piccolo passo in avanti nel lungo processo di ‘iniziazione generale’ che il percorso evolutivo dell’umanità comporta. Purtroppo, dopo questo spiraglio aperto sull’immaginario, la guerra mondiale comportò un’epoca di contrasto, di lotta contro il ‘male’ all’interno dell’uomo, che forse il film in parte adombrava o presentiva nella figura della strega. La fase odierna è ancora differente, lo scontro fra ‘ideale’ e ‘reale’ sembra persino più aspro, deprimente, deludente, in quanto la ‘fantasia’ è diventata mera tecnologia e la logica razionalistica e mercantile sembra costituire la nuova ‘scienza sacra’. Oggi, probabilmente, l’uomo è chiamato al difficile compito di conoscere, accettare, utilizzare e trascendere la mente con i suoi processi condizionati.
Già la data della prima proiezione del film ci indica una possibile e azzardata via interpretativa: non sembra, infatti, da sottovalutare la coincidenza con il solstizio d’inverno, momento cardine del ciclo annuale e riferimento simbolico centrale per tutte le antiche culture umane. Naturalmente non vogliamo affermare che la data fu scelta di proposito per fare riferimento ad un certo genere di simbolismo (non possiamo, comunque, neanche escluderlo), ma riteniamo che ogni caratteristica di un evento, anche la più apparentemente casuale - Jung insegna - faccia parte dell’evento in esame e sia, per ciò stesso, analizzabile. Il solstizio invernale, secondo Guenon, era in antico chiamato “porta degli dei”: attraverso questo momento dell’anno metaforicamente rappresentato come un varco, un ingresso, una porta, entravano nel mondo naturale e umano la luce, l’energia e l’influenza divine. Da questo punto di vista “Biancaneve” potrebbe essere una favola descrivente la trasformazione che avviene nell’ambito della natura in relazione a questo passaggio annuale. La terra, in autunno e in inverno, nei paesi nordici da cui sembra origini la storia in esame, porta sotto una bianca coltre di neve i semi, i presupposti per il suo rinnovamento primaverile. Sotto la neve scorre il ‘sangue’ e la vitalità per la necessaria rigenerazione della natura. Essa desidera ricongiungersi con il suo partner archetipico, il cielo, qui nella veste di ‘principe azzurro’: il cielo in primavera. Però il ‘nuovo’ deve passare una serie di prove prima di potersi manifestare, ben simboleggiate dall’ostilità della strega, la ‘regina della notte’, la rappresentante della cattiva stagione, invidiosa dei potenziali frutti e raggiungimenti di quella buona.
Disney sceglie per il suo film una fiaba dalle probabili origini nordiche. I popoli nordici, le culture celtiche, in effetti annettevano grande importanza agli equinozi e ai solstizi e al rinnovellarsi della natura dopo la ‘prova’ invernale. Casualmente il nome ‘Disney’ ha un’origine non troppo lontana da quel tipo di culture: deriva da ‘De Isigney’, che significa ‘originario di Isigney’ (o Isigny), piccolo villaggio vicino Bayeaux, in Normandia. (Notiamo, fra l’altro, anche la curiosa assonanza fra il nome anzidetto e ‘signum’, segno, come anche ‘disegno’.) I Celti chiamavano il solstizio invernale ‘Alban Arthuan’, ‘Luce di Artù’, ritenendo che il mitico re rappresentante del Sole - in qualche modo figurazione anche lui del ‘principe azzurro’ - fosse nato proprio in quel giorno a Tintagel, in Cornovaglia, in fondo non troppo lontano da Bayeux, oltre la Manica. Al solstizio d’inverno associavano simbolicamente ed energeticamente un albero, il melo, il cui frutto rappresentava l’Amore, esprimente il grande rinnovamento del cuore umano e, quindi, della natura. Non a caso la ‘regina della cattiva stagione’ cerca prima di strappare il cuore di Biancaneve e poi di ucciderla con una mela avvelenata: vuole colpirla nel nucleo più profondo, nel significato del suo esistere, l’amore, la ‘conjunctio oppositorum’ che è il fine stesso della favola. Viene quasi spontaneo, qui, il parallelo con il mito dell’Eden, del frutto proibito e del serpente, cercando anche in esso possibili riferimenti al ciclo stagionale, base di molte delle simbologie antiche. Per esempio potremmo notare che il giardino di Eden è posto ad Est, regione tradizionalmente riferentesi alla primavera, all’equinozio e alla vittoria del sole sulle ‘tenebre’ dell’inverno. Il serpente poi, come Uroboros, indica il ciclo ininterrotto dell’anno e delle stagioni, mentre l’albero e il frutto possono segnalare la crescita, la spirale ascendente dell’evoluzione che tende sempre ad oltrepassare il ‘limen’, la soglia, il limite, il ‘proibito’.
I nani probabilmente rappresentano le forze elementali della natura, particolarmente della terra o del mondo sotterraneo: come gli gnomi sono i custodi di tesori nascosti nelle profonde miniere del sottosuolo, quindi dell’’interiorità’. Particolarmente in autunno e in inverno queste forze elementali diventano importanti per la preservazione della vita e, infatti, salvano e proteggono Biancaneve, e sono a loro volta da lei riconosciute, aiutate e purificate. Sono sette, come i sette pianeti, i sette metalli eccetera. Disney, differentemente dai fratelli Grimm, li personalizzò e li differenziò dando ad essi simpatici nomi e caratteristiche caricaturali, grottesche, ma in fondo positive. Riconosciamo, quindi, in ‘Brontolo’ la ritrosia e la prudenza di Saturno; in ‘Mammolo’ la pudicità di Venere; in ‘Eolo’ la forza esplosiva di Marte; in ‘Dotto’ la saggezza un po’ saccente di Giove; in ‘Pisolo’ l’abbandono al mondo onirico della Luna; in ‘Gongolo’ la vanità apollinea del Sole; in ‘Cucciolo’ la duttilità metamorfica di Mercurio. Quando non riescono più a proteggere Biancaneve, quando questa sembra ormai morta, ne preservano le spoglie nel cristallo, così come il ghiaccio invernale ricopre e custodisce la terra, solo apparentemente morta, ma in realtà potenzialmente fertile e rigogliosa. Il bacio del principe, ‘cielo’ e ‘sole’ di primavera, risvegliano la natura che - sia pure avvelenata dagli ingannevoli malefìci del brutto tempo - è soltanto addormentata, e dall’Amore può essere ridestata.
Biancaneve, ovviamente, non è soltanto un mito legato alla morte e rinascita della natura e della bella stagione. Come tutti i racconti simbolici descriventi il ciclo annuale indica l’iter iniziatico di evoluzione della Coscienza: dal desiderio di autosviluppo iniziale (l’intimo ‘pozzo dei desideri’, ‘Bodhicitta’), passando poi attraverso il confronto con il limite personale (il guardiacaccia, il bosco), la prova (lo scontro con la strega, il demone, la propria ombra, la madre divoratrice e rivale, il subconscio) e la conoscenza delle risorse interiori (gli animali del bosco, i sette nani e le miniere sotterranee), fino alla morte-trasformazione che conduce alla fusione degli opposti (il bacio del principe, il matrimonio, l’Illuminazione). Unica notazione ulteriore: Biancaneve sembra rappresentare, differentemente da altre figurazioni tradizionali, soprattutto un iter al femminile, adatto alla descrizione di un cammino di iniziazione dove il ‘mito dell’eroe’ cede il passo a produzioni simboliche da esso distinte, apparentemente più in sintonia con la diversa sensibilità e problematica della donna.

 

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