MATRIX - Commento di Maurizio  


Questo genere di film di fantascienza, o anche di racconti,  trasfigura la realtà d’oggi proiettandola in un ipotetico futuro in cui i problemi esistenziali e sociali sono amplificati e ingigantiti: in tal modo, più che anticipare gli sviluppi avveniristici della nostra condizione attuale, ne offrono una rappresentazione a volte grottesca o caricaturale che, nella sua paradossale chiarezza, può farci riflettere su noi stessi. Nel lavoro in esame, violenza e corruzione costituiscono l’ossessionante Matrix, la madre orchessa onnipervadente: il grande calderone in cui ribolle l’enigma del nostro tempo. Questo grande crogiuolo psico-socio-fantascientifico contiene tutto, ma le sue tendenze evolutive si focalizzano intorno alle grandi polarità del conflitto bene-male e il mondo di Matrix è il teatro del loro scontro: l’obiettivo è lo sviluppo di una nuova coscienza.
Il male, in particolare, ha qui i caratteri distruttivi propri della macchina: fredda logica, soppressione dell’individualità, uniformità o inesistenza della consapevolezza di sé, spietata efficienza, capacità di contagio e diffusione, integrazione unilaterale con la realtà detta oggettiva ma, in sostanza, illusoria. Il bene invece cresce nel segreto, nell’intimo,  nella complessità soggettiva, e presenta i caratteri del sogno e della fiaba; sembra illusione, però avanza verso la comprensione del vero; manda segnali e avvertimenti sottili per risvegliare lo spirito di ricerca, per iniziare un viaggio analogo a quello di Alice nello specchio… Ma qual è la verità, quale l’illusione? La menzogna dice il vero, la verità mente.
Per inciso, trovo divertente che lo stesso attore che interpretò Shakyamuni nel “Piccolo Buddha” di Bertolucci, anche qui debba impersonare un Risvegliato: Neo Anderson, Neo Aner-Andros, l’Uomo Nuovo, l’Eletto. Ciò che nel film di Bertolucci è la lotta del Buddha con i dieci potenti eserciti di Mara e con Mara stesso, il Demone dell’Illusione, in Matrix è riproposto e trasfigurato nelle deliranti immagini biotecnologiche di una guerra psicocibernetica. In definitiva la vicenda di Matrix non è altro che questo: la descrizione delle veglie di meditazione del Tathagata sotto l’Albero della Bodhi. Nel film troviamo, inoltre, una interpretazione in chiave fantascientifica del Demone, il cui mondo, visto come una realtà virtuale, come un programma computerizzato, è una sorta di trappola atta a privare l’uomo delle  facoltà di risveglio e di liberazione. Il mondo reale, invece, è “Sion”, e si trova  - queste le parole di uno dei protagonisti – “vicino al centro della terra, dove c’è ancora calore residuo”. Cioè, probabilmente… nel cuore!
Una parte del racconto cinematografico, inoltre, è dedicata all’addestramento del nostro eroe e al rapporto maestro-discepolo, cioè all’imparare: in particolare imparare come riconoscere e combattere il Demone. Il Maestro è Morpheus, il Signore della forma mutevole e liberata, e anche Colui che induce il sonno salvifico, il sonno dell’ego.  Come si combatte il Demone? Con disciplina, determinazione e, soprattutto, con la conoscenza di sé e dei propri condizionamenti. Consapevolezza è liberazione: là dove gli uomini preda dell’illusione e dell’oscurità sono definiti “programmi senzienti” di Matrix, cioè esseri indistinguibili dal sistema, l’atto di conoscere i propri meccanismi significa, di per sé, cominciare a scioglierli, a superarli. Tutta la disciplina e l’addestramento non fanno altro che rimandarci allo specchio, a quel “conosci te stesso” che rappresenta il vero oracolo: nessuno può metterci di fronte al nostro vero Sé, nessuno può mostracelo o donarcelo. Inoltre, nessuno può riconoscersi nello specchio dell’auto-osservazione quale Eletto o Risvegliato, se non dopo un passo importantissimo: morire a sé stessi, superare il piccolo io mettendo in gioco la propria vita, cioè accettando di mettere alla prova le proprie convinzioni: l’Uomo Nuovo comincia a divenire davvero tale allorché  – nella metafora del film – crede fermamente di poter salvare il Maestro, cioè la sostanza dell’Insegnamento, nonostante gli ostacoli insormontabili, non ultimo quello di affrontare il traditore della situazione, cioè il dubbio distruttivo, l’attaccamento all’ignorare, la resistenza al cambiamento; insomma sembra che il primo sostanziale salto di qualità verso l’Illuminazione si faccia con la… fede! Grazie ad essa il nostro Neo Anderson riesce a padroneggiare le realtà illusorie create dal Demone, a confrontarsi apertamente con lui, ad avere la sua stessa forza. Per batterlo veramente, però, inserendosi – in un certo qual modo – nell’hardware del Samsara decrittandone il codice cibernetico e la programmazione, è necessario un altro elemento – definitivo ai fini della vera Liberazione: l’Amore. La resurrezione del protagonista, che nel suo processo di autotrasformazione transita anche per lo stato di morte, avviene infatti in virtù di una grande conjunctio oppositorum: l’unione salvifica con l’Anima, che nel film ha nome Trinity forse per sottolinearne la tripartizione in mente, energia e materia e l’aspetto sovrapersonale. L’Eroe, infatti, sperimenta la totalità dell’abbraccio non soltanto con la sua anima individuale, ma  anche e in particolar modo con l’Anima del Mondo: e questo è, appunto, Amore. A testimonianza di questa avvenuta unione e di questa apertura del cuore, l’avventura cinematografica si conclude con il proposito del novello ‘Buddha’ di girare, per così dire, la Ruota della Legge, cioè di guidare possibilmente tutti gli altri esseri umani verso i suoi stessi raggiungimenti, continuando la lotta non più e non soltanto per sé stesso.

 

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