L'occhio del diavolo
(Interpretazione di Maurizio)

 

Secondo la visione junghiana, l’attrazione fra i sessi nella fase dell’innamoramento fonda sulla proiezione che ognuno dei componenti della coppia fa sull’altro: la donna vede nel compagno il suo ‘animus’, e l’uomo vede nella donna l’’anima’. In sostanza ciò che inizialmente gioca il ruolo più importante nel rapporto è l’idealizzazione che ognuno fa dell’altro, relazionandosi più che con la controparte con un’immagine di sé stesso o una propria rappresentazione del profondo. Nell’evoluzione del legame, con la frequentazione regolare e l’eventuale vita comune, la visione ‘ideale’ cede gradualmente il posto ad una più realistica, in cui l’altro o l’altra vengono progressivamente conosciuti con i limiti, le caratteristiche peculiari, il comportamento quotidiano, eccetera. In questa fase si comprende anche meglio sé stessi, si ridimensiona il lato infantile delle proprie aspettative, si matura, fino a cambiare insieme, costruendo un ideale comune non più incentrato soltanto sulla propria persona. E’ la scoperta dell’amore, quello ‘vero’, che riesce a conservare l’essenza della vitalità degli inizi unitamente alla maturazione del percorso successivo. Questa condizione di integrazione, però, è un traguardo piuttosto difficile, forse anche raro, perché la maggior parte dei rapporti di coppia si interrompe nel momento in cui l’innamoramento naufraga sullo scoglio degli inevitabili limiti umani, che sono ancora più complicati da affrontare in coppia se non si è disposti a mettersi in discussione, intraprendendo un comune cammino auto-conoscitivo. Tale naufragio porta all’allontanamento definitivo, cioè alla soluzione del rapporto, oppure ad una convivenza delusa, malata, in cui le due persone coltivano un proprio mondo distinto da quello dell’altro, come in quella sorta di solitudine rassegnata della moglie del pastore del film di Bergman, Renate, o del pastore stesso, che rimane aggrappato ciecamente ad una immagine positiva delle cose che nulla ha a che fare con la realtà. D’altro canto, sottolinea il film, l’Inferno in quanto fattore di disunione (‘diavolo’, etimologicamente = colui che separa) conta molto sull’istituzione del matrimonio…
La rappresentazione grafica di quanto fin qui osservato, può essere la seguente, secondo il consueto glifo cabalistico:


 

Come si può osservare, l’incontro evolve in una situazione di innamoramento, caratterizzata da contenuti emotivi e sentimentali che favoriscono la fusione, l’abbraccio. Dopo di che matura uno stadio di conoscenza che, nel comportare una profonda trasformazione, può anche essere spiacevole, produrre ferite, richiedere l’accettazione dell’altro come diverso da sé, necessitare l’approfondimento del dialogo, eccetera. La figura di Don Giovanni, dunque, risulta ‘demoniaca’ proprio in questo: egli è fermo alla sperimentazione iniziale del rapporto di coppia e alla fase idealizzata dell’innamoramento, rifiutandone l’evoluzione. Non arriva all’amore vero, alla comprensione, all’abbraccio profondo perché, probabilmente, non è disposto a cambiare, a conoscersi, a mettersi in discussione. In questa maniera egli si vincola permanentemente all’immagine di sé stesso in una relazione ‘fissata’ al momento di partenza, svuotata di ogni valore perché mai resa vera, completa: come se la controparte non avesse un’esistenza reale, non fosse un individuo; come per un eterno, narcisistico guardarsi allo specchio. La sua pena agli inferi, secondo il film di Bergman, consiste  nel reiterare in forma ancora più evidente e stereotipata, quasi caricaturale, la scena del rimanere all’inizio, dell’interrompere prima di cominciare davvero, ripetendo sempre e solo la fase ‘infiammata’ dell’innamoramento, ma questa volta senza poter nemmeno giungere al rapporto fisico. Questa idea suggerita dal racconto cinematografico risulta sorprendentemente confermata dalle conoscenze esoteriche e buddhistiche degli stati post-mortem: dopo il trapasso non può esservi una vera soddisfazione sensoriale, mancando l’’involucro’ o il ‘veicolo’ fisico. Per cui, pur avendo la dimensione ‘al di là’ caratteristiche simili a quelle oniriche, favorenti la rappresentazione dei desideri, delle paure, delle emozioni, eccetera, simili figurazioni non hanno tutto il carattere della realtà. Perciò il ‘beone’ disincarnato, ad esempio, pur bevendo a volontà, non sarà mai veramente pago: è questo, sembra, uno dei fattori che lo condurrà al bisogno di una nuova incarnazione. Ad un certo stadio di sviluppo della coscienza, infatti, soltanto nella condizione manifesta e corporea del piano fisico è possibile l’evoluzione spirituale e - proprio perché in tale condizione si incontra l’altro-da-sé, l’’esterno’ - si è costretti a muoversi, interrogarsi, plasmarsi, cambiare. Per tornare all’opera di Bergman, possiamo osservare che – secondo una certa cultura e in un certo periodo, di cui non stiamo ad analizzare cause e modalità in questa occasione – per una donna la perdita della verginità prima del matrimonio ha la stessa gravità del ‘peccato’ commesso da Don Giovanni per tutta la sua vita, quasi rappresentandone la versione femminile. Una donna che conservi la verginità, al contrario, è per Satana un disturbo piuttosto fastidioso. Britt Marie, in particolare, conserva – diciamo – una ‘purezza’ anche interiore, perché è convinta del suo amore per Jonas, cosa che probabilmente rende il diavolo ancora più scontento che se la verginità ne riguardasse soltanto il corpo fisico. La storia del film, in definitiva, comporta la trasformazione e la maturazione di tutti i personaggi, i quali rivelano e perfezionano la loro vera natura proprio per essere entrati in rapporto con il ‘male’, il lato oscuro. La ‘bugia’ finale detta da Britt Marie al marito, sollevando il diavolo dalla sua malattia all’occhio, permette anche di scoprire un lato nascosto della ragazza, lasciando il dubbio che ella fosse stata davvero sedotta nell’intimo dal ‘dongiovannismo’ del grande seduttore, e che il suo atteggiamento cosciente non nascondesse, in realtà, qualcosa di non ancora compreso. Nell’imperfetta ‘conjunctio oppositorum’ rappresentata dal povero Don Giovanni, condannato nuovamente all’Inferno e senza sconti di pena, possiamo comunque rintracciare anche un senso più profondo, reso evidente dal glifo cabalistico sopra riportato: nel significato più interiore possiamo infatti leggervi una ricerca continua alla scoperta dell’’anima’, che però non viene mai condotta con un serio impegno, cioè mettendosi davvero in gioco, tanto da rimanere soltanto ad un livello superficiale, astrale, sfiorando appena persino il piano mentale, e fallendo completamente quello causale-coscienziale. E’ il rischio di chi, nel campo che ci interessa, pur frequentando scuole, leggendo libri, assistendo a conferenze, innamorandosi di questa o quell’altra tecnica meditativa, passa dall’una all’altra rimanendo sempre sulla soglia dell’Iniziazione, cioè restando ‘profano’ nel vero senso dell’etimo: ‘fuori dal Tempio’, senza entrare davvero, quasi con il timore di trasformarsi profondamente. Riflessione, questa, che può interessare ognuno di noi e che rappresenta un incoraggiamento ad osare, ad andare avanti, a coinvolgersi sempre di più in uno stabile e reale rapporto di conoscenza e integrazione con la propria anima.

 

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