Requiem  
Alchimie interpretative di Maurizio
(V.I.T.R.I.O.L.)

 

 

1.      Il tema è quello dello scontro fra il potere baronale, cittadino, cerebrale e ‘civile’, e la forza rivoluzionaria dei pastori-contadini di Màrgari, passionale, caparbia, ventrale e terrestre. In qualche modo è adombrato così l’antagonismo archetipico fra ‘mente’ e ‘cuore’, ‘cielo’ e ‘terra’, razionalità e istintualità.

2.      Con la definizione di ‘istintuale’ si indicano generalmente modalità che vanno oltre la valutazione ‘razionale’ e la supervisione della mente cosciente. Il riferimento è all’attività sensoria, fisiologica, oppure a motivazioni o spinte che scaturiscono dal cosiddetto ‘inconscio’ in maniera impulsiva, spontanea, con la caratteristica dell’immediatezza e, spesso, dell’incontrollabilità.

3.      All’’istinto’, tuttavia, si possono dare valenze differenziate, di diverso segno, ‘basse’ e ‘alte’, ‘sub’ e ‘super-consce’. Secondo un’impostazione interpretativa in linea con la ricerca interiore possiamo asserire che anche l’intuizione superiore e la percezione di eventi legati al processo dell’Illuminazione hanno i caratteri dell’istintualità o, più precisamente, della sovra-razionalità.

4.      Se, dunque, rispetto al Barone, il comportamento del patriarca-pastore appare fuori dalle regole, illogico, istintuale e caparbio, d’altra parte esso rivendica una visione del mondo diversa, legata alla terra, ai venti, alla pioggia, alle forze misteriose della natura e, per così dire, primordiale e sciamanica. Pur avendo la mente conscia strutturato un dominio sulla vita potente e vasto, una superba baronìa della psiche, essa non ha potuto e non può estendere il suo controllo alla morte. Questo sembra essere il senso della contestazione e della rivoluzione dei pastori di Màrgari: esistono delle zone dello spirito umano che vanno oltre la logica della mente conscia, che affondano nel mistero; per questo motivo il vecchio patriarca, fondatore della comunità ‘dissidente’, intende penetrare all’interno della terra: il suo trapasso verrebbe così a rappresentarne la grande realizzazione, la conclusione dell’Opera, lo scendere alle radici dell’esistenza divenendo egli stesso definitivo ceppo di una nuova consapevolezza oltre la ‘mente’.

5.      I margaritani intendono riprendersi la morte, svincolarla dalla mezzadrìa baronale e dalla sudditanza cittadina, farle riassumere il significato di trasformazione e fertilizzazione dell’humus vitale, raggiungimento della dimensione collettiva ed eterna, unificante e umana. Essi aspirano, quindi, all’autonomia e alla liberazione. In questo senso la morte del vecchio patriarca può essere analoga al nirvana, parola che talvolta definisce la morte del Buddha, il Risvegliato: un trapasso compiuto in piena coscienza, per così dire volontariamente, che dalla dimensione limitata del ‘piccolo io’ conduce l’individuo all’essenza totalizzante del Tutto.

6.      Nel racconto del film i margaritani e il loro capostipite attuano un raggiro, un inganno per indurre i carabinieri a non impedire la fondazione del camposanto: il vecchio si finge morto e si inscena un funerale potente e drammatico, sostenuto da uno straordinario mantra vocale – una sorta di litania di sfida e orgoglio - in cui si esprime tutta la forza, la determinazione e la rivendicazione dei pastori. Di fronte a ciò i rappresentanti della legge umana non hanno il coraggio di intervenire o di continuare a presidiare quella terra aspra, dura, lontana da ogni logica cittadina e padronale: vanno via. Questa finta morte è, dal punto di vista simbolico, la ‘piccola morte’, la morte del corpo fisico, sempre illusoria, irreale e ingannevole. Partiti i ‘carabinieri’, cioè superate le resistenze della mente e le concettualizzazioni legate ad una concezione parziale del vivere e del morire, i pastori e il loro patriarca saranno liberi di accogliere la grande morte, quella vera, la liberazione. Tutti insieme la attenderanno uniti in una indimenticabile seduta di meditazione comune.

7.      Anche in linea con il discorso politico che i Taviani hanno infuso nel racconto filmico - oltre che con la novella stessa di Pirandello - osserviamo come i pastori di Màrgari siano degli eroi ‘grezzi’, primitivi, mancanti delle caratteristiche raffinate del Barone, improntate a educazione e civiltà. Dal punto di vista interiorizzato riconosciamo in ciò un concetto importante, ben espresso da un Maestro buddhista del medioevo giapponese, Nichiren Daishonin: egli insegnava che il ‘vero Buddha’ è il ‘comune mortale’, e che il Buddha storico, Shakyamuni, quale essere divinizzato e trasfigurato, non è che un ‘Buddha transitorio’, esprimente una verità parziale che, al massimo, può servire d’indicazione, ma che – distante com’è dalla realtà concreta di ognuno – può anche fuorviare. Il ‘vero Buddha’ in effetti non vive in una dimensione ideale e nobile, ma è qui ed ora, in ognuno di noi e in ogni persona comune, come pure nella realtà quotidiana, limitata, superficiale, ma anche – al tempo stesso – immensa, profonda e assoluta.

8.      Per concludere vorrei fare qualche riflessione a proposito della parola ‘Màrgari’, utilizzata sia nel film che nella novella di Pirandello per indicare il paese dei pastori in questione, detti anche ‘margaritani’. Il primo accostamento è con la parola ‘malgaro’ che in italiano significa ‘pastore delle malghe’, dove queste ultime sono pascoli montani, particolarmente alpini. La parola quindi - però con la ‘l’ invece che con la ‘r’ - indicherebbe direttamente i personaggi in esame (anche se il termine è di origine nordica e non sicula). La stessa parola, facendo un altro accostamento e derivandola da ‘margaron’ , significa in greco ‘perla’. Simbolicamente la perla, essendo in natura chiusa nel guscio dell’ostrica, indica una ricchezza nascosta, segreta, prodottasi all’interno come trasformazione di sollecitazioni ambientali e in contrapposizione complementare ad esse. Da ultimo propongo una ulteriore e folle interpretazione di stampo cabalistico: utilizzando la Gematria secondo un sistema numerico che attribuisce valori alle lettere dell’alfabeto latino invece che a quello ebraico - vedi l’appendice alla mie ‘divagazioni interpretative’ sul capitolo 12 della Genesi – M-a-r-g-a-r-i (40+1+90+7+1+90+9) è uguale al numero 238. Riducendo ulteriormente abbiamo 2+3+8 = 13; l’Arcano XIII è quello della Morte, intesa nel senso di trasmutazione. In effetti il tema di ‘Requiem’ è proprio quello della morte nei termini già analizzati - nei quali può rientrare l’idea della trasformazione e della rivoluzione interiore - ma anche della ‘perla’: viene in mente il famoso mantra tibetano “Om Mani Padme Hum”, cioè “Om, la Perla è nel Loto”. All’interno della vita c’è la morte; all’interno della morte c’è l’eternità: è proprio quella che il vecchio pastore cerca di strappare al ‘Barone di questo mondo’…

 

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