I giganti della montagna

 

Sintesi

I giganti della montagna e` l’ultima opera di Pirandello, iniziata nel 1931 ancora nel 1936, alla sua morte, non era terminata.

Memorabile la rappresentazione dei Giganti realizzata da Strehler al Piccolo di Milano nel 1995.

Una compagnia di attori girovaghi, guidata dalla contessa Ilse, avendo  deciso di recitare “La favola del figlio cambiato” (una opera altamente drammatica dello stesso Pirandello) e  non trovando accoglienza nei comuni teatri, giunge ad una villa che sembra abbandonata. Gli strani e misteriosi abitanti della villa, il mago Cotrone e gli Scalognati, cercano dapprima di allontanarli con tuoni, fulmini, apparizioni di fantasmi e altro, infine, poiche` i commedianti non si lasciano intimorire, li accolgono, e Cotrone cerca di convincere la contessa a recitare per gli ospiti della villa il suo dramma, una storia scritta per lei da un giovane poeta che, innamorato e da lei respinto, si e` ucciso. La villa puo` accoglierli perché e` una ‘dimora molto particolare’, dove tutto puo` realizzarsi, basta volerlo: “Siamo qui come agli orli della vita, Contessa” dice Crotone ad Ilse “Gli orli, a un comando, si distaccano, entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. E` cosa naturale. Avviene cio` che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… Tutto l’infinto che e` negli uomini, lei lo trovera` dentro e intorno a questa villa” Ma Ilse non accetta, vuole che, in qualche modo, chi assiste all’opera teatrale venga coinvolto, magari in modo conflittuale; allora Cotrone le propone di recitare la sua favola ai Giganti della montagna, potenti signori occupati nella realizzazione di grandi opere, che potrebbero inserirla in un contesto di festeggiamenti per un loro importante matrimonio.
La tragedia termina con l’arrivo dei Giganti (si odono musiche e urla quasi selvagge) ed ecco le ultime parole scritte da Pirandello e pronunciate da Diamante, la seconda donna della compagnia del teatranti:
“Ho paura…”
Nell’epilogo, che non e` nel dramma, ma che era nelle intenzioni dell’autore, poi, si viene a sapere che i Giganti, tutta razionalita` e interessi materiali, non accettano la proposta, non hanno tempo per  la poesia e le cose dello spirito, ma permettono che la rappresentazione venga allestita per il popolo, i loro servitori. Ilse, pure consapevole del pericolo di portare la sua arte a chi e` completamente privo di sensibilita`, accetta. Urla e fischi accolgono la rappresentazione, gli attori reagiscono, nasce una zuffa, Ilse  viene uccisa.

 

“I giganti della montagna” int. cab. 

Ci chiediamo perché mai Pirandello abbia scelto proprio La favola del figlio cambiato quale dramma da far portare in scena alla compagnia di Ilse. Cominciamo col sintetizzare la favola:

Ad una madre le Donne (specie di streghe dell’aria) hanno rapito il figlio in fasce, sano e bello, e glielo hanno sostituito con uno brutto e malato. La fattucchiera del paese Vanna Scoma consiglia la povera donna di prendersi cura del bimbo che le e` toccato in cambio, anche se e` un mostro, perché allora il suo stara` bene. Il figlio rubato e` stato portato dalle Donne a corte ed e` vissuto da principe, ma ora, malato, giunge nel paese natale e immediatamente si sente rinascere. Intanto il re in un attentato viene ucciso. I cortigiani vorrebbero che il principe tornasse subito in citta` per essere incoronato (o per essere a sua volta ucciso). Quando il principe viene a sapere di essere il figlio cambiato della favola, rinuncia agli onori, manda al suo posto il vero principe, il mostro, e resta con la madre ritrovata. 

Nel “La favola del figlio cambiato” Pirandello, ormai al termine della vita, afferma la necessita` di conoscere se stessi e di vivere secondo il modello interiore che ci e` proprio, a costo di rinunciare ad ambizioni e ricchezze.

Ne-I giganti della montagna  Ilse, figlia d’arte, nel I atto dice di se`:“Teatrante, teatrante!… io si`, nel sangue di nascita!” perché ad certo punto aveva lasciato la sua arte per diventare contessa, ma il suicidio del poeta-autore del La favola del figlio cambiato l’aveva fatta tornare al teatro e alla sua vera vita. Poi Ilse muore per compiere la sua missione, cioe` per aver voluto portare il teatro, la sua arte, in mezzo alla ‘gente’.

Ecco, questo ci sembra il legame tra le due opere: il concetto che si deve compiere cio` per cui si e` nati e non altro. E ci viene in mente il versetto della B. Gita (canto III, v. 35)…  Meglio il proprio dovere benche` imperfettamente compiuto, che il dovere di un altro bene eseguito”.
Ora entriamo ne- “
I giganti della montagna”. Consideriamo l’ultima opera di Pirandello, come un
  ‘sogno’ che ci sia stato raccontato dall’autore alla vigilia della sua morte. Come i “Dialoghi delle Carmelitane” di G. Bernanos, (v. www.taote.it  cineforum)  scritti negli ultimi mesi di vita, rispecchiano tutto il suo travaglio nell' affrontare i temi della morte imminente, della paura, della debolezza umana, del rapporto con la Divinita' e con la Fede  cosi` I giganti della montagna  rispecchiano tutti i timori e le angosce di Pirandello, racchiusi in quell’ultima frase di Diamante: “Ho paura…”.
Ma chi non ‘ha paura’ quando sta per lasciare questo mondo che conosce e deve affrontarne un ‘altro’ di cui non conosce nulla? Eppure una
continuita` tra la nostra realta` fisica e quella sottile ultra terrena ci deve essere; probabilmente e` costituita dalla coscienza della nostra psiche (mondo astro-mentale) e dal nostra componente spirituale (mondo causale) che permane in qualche modo anche quando il corpo fisico muore. Probabilmente quanto piu` si ha conoscenza e coscienza di questi mondi sottili in vita, tanto piu` si sara` in grado di gestire il post-mortem.

Pirandello era maestro di conoscenza della psiche, era abituato a scendere all’interno di se` e a tirar fuori i suoi burattini interiori, regalandoceli come personaggi di commedie e drammi, ma forse mancava di fede nella sua componente spirituale, e forse anche per questo ‘aveva paura’.
Esaminiamo ora il titolo
I giganti della montagna: strano titolo per un dramma in cui i giganti non compaiono se non come urla e suoni selvaggi. I ‘giganti’ secondo il mito esiodeo erano i figli di Gea (la terra) fecondata dal sangue della ferita di Urano (il cielo), mutilato da Cronos (il tempo); erano mortali e la maggior parte venne schiacciata da isole e montagne, per es. uno di essi, Encelado fu colpito dalla Sicilia, scagliata da Atena, e il ‘gigante’ ora sarebbe l’Etna. Secondo la Bibbia (Gn. 6,4) i ‘giganti’
 nacquero dall’unione dei figli di Dio (gli angeli ribelli o i discendenti di Set?) con le figlie degli uomini (le discendenti di Caino?) e erano considerati una razza ‘proterva’. La ‘montagna’ e` la terra che da basso sale verso l’alto con la sua cima, e in senso figurato significa mole, grande quantita`. I giganti della montagna dovrebbero essere quelle potenze terrestri, che, nate dall’unione di Terra e Cielo  dovrebbero tentare di risalire in Cielo. La ‘Terra’ che aspira al ‘Cielo’ e` dunque l’essenza del titolo del dramma di Pirandello, e poiche` la Terra nell’Albero e` il Malkuth, la personalita`, I giganti della montagna vengono ad essere il ritratto di Pirandello che alla fine della sua vita ‘si volge al Cielo’, e quindi anche il suo testamento e la sua eredita`.
Cominciamo ad esaminare i significati dei nomi dei personaggi, iniziamo dalla compagnia della Contessa.

Ilse, detta ancora la Contessa: e` ‘il-se`’ della storia, l’anima, l’energia stessa del dramma; ma anche come ‘Elsa’, diminutivo di Elisabetta, ne e` la ‘pienezza’, la ‘completezza’; e ancora come ‘elsa’, impugnatura (della spada), e come ‘contessa’, (da comites) e` cio` che accompagna nella lotta.

Il Conte, suo marito: conte (da comites) = e` il compagno d’armi.

Diamante, la seconda donna: e` la pietra dura e trasparente.

Cromo, il caratterista: e` chi da` colore.

Spizzi, l’attore giovane: e` colui che ‘spizzica’, assaggia o fa assaggiare.

Battaglia, generico donna: e` ancora chi combatte.

Sacerdote: e` chi si occupa del ‘sacro’ ma non ha peso nel dramma e solo pochissime battute.

Lumachi, e`chi spinge il carr-o (-etto): e` chi va lento, come la lumaca, nel fango, ma trascina la sua ‘casa’ avanti.

Ora passiamo ad esaminare l’altro gruppo di personaggi, gli abitanti della ‘villa’ (= casa di campagna): Crotone e gli Scalognati

Cotrone, il Mago: cotrone e` detto un bicchiere di metallo senza piede e anche un medaglione rotondo con intorno un cerchio di metallo, simboleggia la coppa e ricorda il simbolo alchemico del Sole. ‘Crotone’ e` invece il nome della pianta del ricino, usato per ‘purgare’. Mago: e` il ‘grande’, ma anche chi purifica, chi si occupa dei sacrifici.

Gli Scalognati: scalogna e` la sfortuna, lo scalogno e` un tipo di cipolla aromatica: gli Scalognati sono dei poveretti che pero` danno profumo e sapore alla storia.

Il nano Quaqueo: e` chi fa qua-qua, come la paperella nello stagno.

Duccio Doccia: e` sempre dell’elemento acqua ma anche, da Aldo -Alduccio = il bello-belloccio.

La Sgricia: possiamo derivare questo nome da ‘sgricciolo’ che vuol dire brivido, ma anche uccellino (scricciolo) e anche risata; la vecchina termina il suo racconto dell’ avventura con l’Angelo 101 chiedendo alla Contessa: “Tu forse ti credi ancora viva?” perché sa di essere morta. Quindi La Sgricia, fusione di brivido, risata e fragilita`, e` gia` una piccola coscienza dell’aldila`.

Milordino: e`il signorino, da Milord, ma anche il mio sciocchino, da (ba)-lordo.

Mara-Mara: e` chi e` due volte amara, ma vuol dire anche fango, melma (marra).

Maddalena: e` la peccatrice per antonomasia, ma anche chi e` come una torre, e` difficile da abbattere.

Fantocci-Apparizioni: sono i giocattoli, i burattini, - e anche i fantasmi, gli spettri di questo ‘bardo’ pirandelliano.

L’Angelo 101: Angelo vuol dire messaggero, le decine sono  numeri che caratterizzano il piano fisico, le centinaia l’astrale, le migliaia il mentale; 101 e` proprio l’inizio del mondo ultra-fisico.

Per quello che riguarda la collocazione sull’Albero di questo dramma possiamo come al solito porre Pirandello, che, come abbiamo detto, coincide con I giganti della montagna in Assiah (fisico), la villa degli Scalognati con Cotrone in Yetzirah (astrale), la compagnia dei teatranti con Ilse in Briah (mentale).

Piu` particolarmente possiamo porre la compagnia della Contessa Ilse  sul mentale  dell’albero cabalistico di Pirandello, collocando gli otto personaggi nei semipiani dei quattro elementi cosi`:

 

In cui, per il significati dei loro nomi Ilse con Sacerdote, Diamante e Cromo rappresentano la mente intuitiva dello stesso Pirandello, e Battaglia e Spizzi con il Conte e Lumachi la sua mente razionale, pratica, ma, come abbiamo gia` visto, Sacerdote e` scarso, Ilse ha trascurato il suo dovere, Diamante ha paura, Cromo e tutti gli altri sono deboli e avrebbero preferito per interesse che Ilse fosse stata infedele al marito.

Passiamo poi a collocare all’interno del mondo astrale gli Scalognati:

 

 

In questo ‘mondo’ per il significato dei loro nomi i personaggi come La Sgricia e il suo Angelo 101, lo stesso Cotrone, Mara-Mara e Milordino rappresentano l’astrale superiore di Pirandello e il nano Quaqueo, Duccio-Doccia, Maddalena e le altre Apparizioni il suo astrale inferiore.
Il dramma de-
I giganti della montagna cosi` ricco di intuizioni sui mondi sottili ci racconta un ennesima discesa agli inferi di Pirandello senza pero` sfociare  in una risalita sulla terra e una ascesa al cielo. Pirandello avrebbe nel suo mondo astrale, nel suo cuore, la ‘Fede’ necessaria alla Resurrezione, e` la fede della Sgricia nell’Angelo 101, ma il suo mondo mentale, Ilse soprattutto, e percio` la sua compagnia, non l’accettano. Avere ‘Fede’ significherebbe accettare almeno temporaneamente l’offerta di Cotrone, questo porterebbe ad una approfondimento della coscienza dell’astrale e del mentale, e poi, in seguito, forse, i giganti  potrebbero accogliere la compagnia.  Voler invece trasmettere  ai ‘servi’ dei giganti, cioe` a chi non e` qualificato, i ‘misteri’, conduce a morte sicura.
Cosi` agli ‘inferi’, Pirandello  ci rimane, affascinato da quei mondi sottili oscuri e assorbenti, come un mago catturato dai suoi stessi sortilegi e li` costringe a morire la sua Ilse (il-se`), come un agnello sacrificale, per la fecondazione dei ‘servi’ dei giganti rimandando ad altro tempo, ad altri giganti di montagna, ad altri ‘Pirandelli’ la possibilita` di accogliere la favola del figlio cambiato.

Grazie. F. V.

 

 

 

I giganti della montagna
L'anima e la voce del teatro di Pirandello

Se nei Sei personaggi abbiamo assistito all'irrompere in un teatro di personaggi veri, metafora dell'irruzione sul palcoscenico del mondo di ognuno di noi con la propria storia e la comune coazione a rappresentarla così come è "scritta", nei Giganti della montagna entriamo nella fabbrica dei personaggi, in quel mondo stupendo, malleabile come una creta, a cui Michael Ende nel suo fantastico romanzo La storia infinita, ha dato il nome di Fantàsia.  
Luigi Pirandello in questo mondo "parallelo" ha trascorso pressoché l'intera sua esistenza. Egli ha vissuto in quella belissima isola che è la Sicilia, dove il troppo sole procura agli occhi deli isolani una sorta di scomposizione dei colori che crea incanti figurati, e dove le figure non sono inventate dagli abitanti dell'isola, ma sono un desiderio dei loro occhi. Nel mondo di Fantàsia, dopo avere messo da parte la ragione - "Non bisogna più ragionare" dice Cotrone al Conte - ma abbandonarsi all'immaginazione creativa, immergersi in quella continua ebullizione di chimere che lascia concepire enormità mitologiche in una continua sborniatura celeste.
Certo i
Sei personaggi possono essere letti in mille altri modi: come complessi autonomi junghiani, come forti pensieri che spingono la volontà in un'unica direzione, come forti passioni che monopolizzano la mente e il corpo inducendoli ad obbedire, come manifestazione d'amore verso un teatro giudicato più vero della cosiddetta realtà, come incanrnazione di un'idea, come apologia della magia che il teatro mette in moto, come una sorta di geniale schizofrenia controllata, come gioco pittorico tridimensionale, come opera di illusionismo, come rappresentazione del sottosuolo dello scrittore, come descrizione di un caotico mondo dei sentimenti collettivi, come esercizio di una pittura quadridimensionale in cui lo spazio-tempo viene fatto collassare in un paradossale presente dilatato dallo stupore creativo, ecc. E lo stesso vale per I giganti, ma ciò che accomuna tutte le opere di Pirandello è quel fuoco isolano che procura quella stranissima febbre e quell'inarrestabile delirio compositivo; è quel vortice di venti provenienti dalle otto direzioni del mare che circonda la Sicilia, un vortice che induce a silenziose danze mistiche vorticanti molto simili alle rotazioni e rivoluzioni dei dervisci. Un miscuglio di venti carichi di miti omerici, di filosofie greche, di tradizioni arabe, normanne, spagnole, francesi, ebraiche, romane, di popolari tradizioni locali e di mille altre cose. Pirandello, come ogni buon siciliano, non è solo desideroso di un ponte sullo stretto che lo liberi da un millenario isolamento, ma anche di un ponte fra cielo e terra, e ciò realizza con una immaginazione molto attiva che è prova evidente di un credo verso la Metafisica.
Quando i pensieri sono carichi di così tanto fuoco, colore, sapore, amore e stupore; quando l'immaginazione riesce a ricreare con parole sentimenti e passioni così forti, le commedie che di esse consistono, le novelle, i romanzi, divengono pensieri viventi, perché di quel vortice conservano la musica: ritmi, tempi, melodie, armonie, canti e perfino silenzi. Lunghi profondi silenzi nel corso dei secoli hanno fatto di ogni siciliano un poeta-pittore, un cantore della propria terra, una spugna di innumerevoli sensazioni, sentimenti e intuizioni scaturiti dal contatto con la mitica atmosfera isolana. Ogni personaggio, ogni parola, ogni pausa, ogni trama delle opere pirandelliane è depositaria di tutto questo. Non si può fare a meno di vedere in questa terra meravigliosa un gigantesco palcoscenico: montagne aride, terre secche, giardini profumatissimi, paesi saturi di barocco, estati soffocanti e secche, inverni miti, mari come case per migliaia di pescatori, spiagge dorate e coste frastagliate accarezzate dal mare; venti di scirocco periodici che scuotono i moli, gelsomini, fichidindia, aranci e limoni, frumento a perdita d'occhio, feste paesane, casali, massarie, ulivi, pane, campane e vecchie chiese, ruderi di ogni tempo e civiltà, e tanto altro ancora sono magici come le cose di palcoscenico, le cui quinte sono pareti di mare che ha quasi sempre lo stesso colore del cielo azzurro intenso per via del bel tempo che vi regna. Il basso continuo, incessante, martellante di quella musica nascosta nelle opere di Pirandello è una incontenibile sicilianità di cui è pregno l'animo del grande commediografo agrigentino.
Quando compare la compagnia degli Scalognati capitanata da Cotrone abbiamo subito davanti agli occhi i veri rappresentanti del popolo isolano: un gruppo di attori-personaggi che hanno scelto di vivere senza niente e lontani dal resto del mondo. Gente che della vita ha preferito coltivare l'albero della fantasia, o meglio dell'immaginazione e del sogno, e che nella villa in cui passa le notti riesce a vivere da sveglia i propri sogni.
 Se qualcuno si avvicina a questo territorio privo di vegetazione all'infuori di un rinsecchito cipresso non può che essere della stessa pasta. Quando la compagnia di attori guidata dalla contessa Ilse giunge nei pressi di tale dimora, Milordino, uno dei componenti della compagnia degli Scalognati, grida "O oh! Gente a noi! Gente a noi!" lo fa come chi, di vedetta alla torre d'avvistamento costiera, annuncia l'inatteso sbarco di qualche nave fuori rotta. Chi può mai salire fin lassù dove può sopravvivere solo chi sa produrre e vivere i sogni a comando? Soltanto altri isolani possono vivere in un posto così chiuso, e poiché Ilse e i suoi amici sono attori hanno buone possibilità di sopravvivenza. Il loro biglietto da visita è un appariscente carretto tirato a mano: il marchio della sicilianità.
Ma basta con le celebrazioni dell'isola. E' ora di entrare in un sogno molto strano, un sogno terminale (è l'ultima opera di Pirandello). La stranezza di esso consiste nel fatto che ogni personaggio delle due compagnie è costretto a vivere il proprio ed i sogni di tutti gli altri: Pirandello, tirando le somme della sua vita di pensatore ci mostra il totale che ha ricavato, e cioè che la vita è un intreccio di sogni ove ogni personaggio è sia protagonista del proprio sia comparsa in quello degli altri. Le verità parziali si incontrano e si scontrano dando vita ad una trama che mai potrà avere un fine. Non per nulla l'opera è rimasta incompleta e si è interrotta sulle parole di
Diamante, una della compagnia degli scalognati, che, al passaggio dei giganti della montagna parati a festa ed a cavallo, quando sente tremare i muri, grida: "Io ho paura! ho paura!". La rappresentazione della Favola del figlio cambiato deve ancora avvenire, sicuramente verrà rappresentata ma non sarà in grado di mettere la parola fine alla più vasta trama della commedia della vita: una storia infinita di storie. In questa commedia le storie straripano dal loro alveo come fiumi in piena: lasciano spesso il mondo fisico per puntare a quello metafisico, sia esso quello delle superstizioni della Sgrincia e delle sue avventure paesane, sia esso quello più raffinato di Cotrone che pare abbia padronanza e del così detto mondo dei sogni (mondo astrale) e del mondo mentale, quello dei pensieri. Gli stessi Giganti, nonostante siano descritti come gente d'alta e potente corporatura che stanno sulla montagna vicina, che malgrado abbiano fisico possente sono duri di mente e un po' bestiali e molto orgogliosi, acquistano contorni mitici. La loro cavalcata, nel giorno della festa per l'unione delle due famiglie, fa tremare terre e case e mette paura.
In tutti i protagonisti c'è, patente, una così forte voglia di vivere recitando, una tale voglia di rappresentare se stessi quali personaggi di se stessi da far dimenticare loro di vivere la vita reale, che per un personaggio vale niente. Siamo oltre ogni realtà, ogni fisica, siamo in piena metafisica.
Cotrone fa di tutto per rimarcarlo: "Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, ad un comando, si distaccano; entra l'invisibile: vaporano i fantasmi. E' cosa naturale. Avviene ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia" (Pirandello - Opere - vol. IV - Newton, pag. 402). Oppure: "Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano - e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere… basta farli uscire da noi stessi" (Id. pag. 405). Oppure ancora: "Mi sono dimesso. Dimesso da tutto: decoro, onore, dignità, virtù, cose tutte che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata innocenza. Liberata da tutti questi impacci, ecco che l'anima ci resta grande come l'aria, piena di sole e di nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze… Nessuno di noi è nel corpo che l'altro ci vede; ma nell'anima che parla chi sa da dove… Un corpo è la morte; tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome. Facciamo i fantasmi. Tutti quelli che ci passano per la mente… Con la divina prerogativa  dei fanciulli  che prendono sul serio i loro giuochi, la meraviglia ch' è in noi la rovesciamo  sulle cose con cui giochiamo, e ce ne lasciamo incantare. Non è più un gioco, ma una realtà meravigliosa in cui viviamo, alienati da tutto,  fino agli eccessi della demenza". Se le cose sono ben vive in noi si rappresentano da sé, dice altrove Cotrone. Ed ecco allora che prende corpo un palcoscenico di maschere di noi stessi che, rappresentanti di queste ben vive cose, vivono la loro storia parallela alla nostra: - il mondo dei sogni che, se vissuto da svegli (nell'ultima parte dell'opera accade questo), diventa gioco.  Ma Cotrone va ancora oltre: parla degli spiriti di natura che abitano gli elementi, con cui la compagnia degli Scalognati è spesso in competizione e vince.

La commedia volge al termine: i Giganti della montagna sono tutti a cavallo e parati a festa; il galoppo tremendo di cavalli e cavalieri diventa galoppo di Centauri, mitologia: pare la cavalcata di un'orda di selvaggi, dice Cromo. E  mentre tutti restano ad ascoltare con l'animo sospeso dallo sgomento, mentre… il frastuono si va allontanando, Diamante grida: "Io ho paura! Ho paura!"

Manca però un'ultima magia: il sipario che cala e l'entusiasmo che costringe il pubblico ad applaudire la finzione-realtà. Qui, tuttavia, il sipario delle Maschere nude non si alzerà più, ma altre maschere creeranno quelle verità tanto care a Cotrone-Pirandello, quelle verità dell'anima che scuotono col clamore di Giganti al galoppo persone convinte di essere solo un mucchietto di terra: Un corpo è la morte.

Grazie Luigi, Grazie per il gioco delle verità a cui ci hai fatto partecipare. Grazie per le tue Maschere nude ormai coperte  da un sipario di silenzio, ma sempre vive nei teatri del mondo.

 Grazie, Natale Missale


 
 

Studiare la Filosofia oggi è semplice e gradevole. Questa ‘Storia della Filosofia in Musica’, destinata a tutti e in particolare ai giovani, con le sue 50 canzoni offre la possibilità di un approccio facile e divertente a quella Saggezza che è alla base della nostra cultura occidentale, e stimola la riflessione sui problemi esistenziali e sui valori fondamentali dell’esistenza. In ogni canzone è, in sintesi poetica, concentrato il pensiero filosofico di un ‘grande’, dalle origini ai giorni nostri, in modo tale da rendere accessibili a tutti anche i concetti più difficili.

Ecco, dunque, una originalissima opera di divulgazione filosofica.

 

‘Storia della Filosofia in Musica’: 50 canzoni

ll  libro è edito dalla TGBook (Vi) www.tgbook.it/

http://www.tgbook.it/shop/it/altro/144-storia-della-filosofia-in-musica-9788898416271.html

Le 50 canzoni si trovano  anche  su:

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https://itunes.apple.com/us/album/galileo-feat.-ilenia-bianchi/id868296279?i=868296334&ign-mpt=uo%3D4

 


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