Orfeo ed Euridice(2)

   

Quando una persona “ incontra” un mito, un mito “ incontra” una persona.
Come due mani che si stringono in un caloroso saluto, l’uno “ possiede” e nello stesso tempo è “ posseduto” dall’altro. Quando ciò accade, inevitabilmente, la storia del mito viene ri-scritta o quantomeno rappresentata per l’ennesima volta.
Che si stia o no su un percorso di ricerca attiva, ognuno di noi, per il solo motivo di esistere, si trova, ad ogni istante, su un determinato punto del suo iter esistenziale.
L’incontro con un archetipo può certamente contribuire a fare chiarezza su quel particolare momento: se il ricercatore è  serio, saprà trarre le giuste risposte alle sue interminabili domande, da qualunque cosa, ma soprattutto da tutto ciò che è facilmente leggibile simbolicamente.
Chi, per sua fortuna, ha assaporato il gusto della creatività, riuscendo ad oltrepassare i limiti della razionalità; chi, per qualche  istante, è riuscito a rimanere sul terreno dell’intuizione; chi, per dirla col mito, è riuscito a fare musica celestiale con la cetra donata dal Sole-Intelletto; ebbene, quello è Orfeo, il massimo dei suonatori, il “ creatore” di armonie perfette.
Ora, nello stesso momento in cui accade questo, l’intelletto dà la possibilità alla razionalità di sposare l’intuizione, cioè di comprenderla e “ narrarla” in qualche modo: ed ecco Euridice, che invita la persona a trascrivere “ sul pentagramma della vita di tutti i giorni” ciò  che ha radici nel cielo come l’eterno albero Asvattha della tradizione indù.
Ma a ciò che sta fuori del tempo, nel momento in cui viene fatta respirare l’aria pesante della materialità, della pesantezza, della temporalità, vengono tarpate le ali. Non più voli oltre le nuvole, ma impacciati passi sul suolo della ciclicità. Il serpente-Natura-Materiale ha così già morso Euridice nello stesso istante in cui stava andando in sposa ad Orfeo: la morte dell’intuizione avviene lungo il tragitto che la conduce alla razionalità, ed il mortale morso lo riceve dal serpente Maya, dio delle forme vane. Per Euridice sarà un vero e proprio inferno…
Orfeo-Intelletto non potrà che seguirla con tutta la sua divina musica, nel disperato tentativo di liberarla dalle catene della temporalità-morte: scenderà all’inferno.
Ad ogni conseguimento, seguirà sempre una nigredo con nuove separazioni e coagulazioni, mai però “ l’artista” , l’alchimista, riuscirà a sposare la verità in questo mondo.
Quando riuscirà a calarsi nel più profondo di se stesso e ne riemergerà sarà sempre solo, e spinto dalla disperaione deciderà ogni volta di non più “ crearsi” quell’inferno. Ed allora sarà ridotto a brandelli dalla furia dei sensi fisici (menadi e baccanti), da cui verrà per l’ennesima volta “ divorato” . Ma se i suoi miseri resti verranno riconsegnati alla terra,la sua cetra (il suo dono solare, la sua parte immortale verrà portata in cielo fra le costellazioni).
A Mosé non è stato concesso di vedere il Dio faccia a faccia , egli ha dovuto abbassare lo sguardo per non morire, ed ha potuto osservarLo solo mentre si allontanava.

 

Grazie.  N.M.



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