Proust - La  Recherche

 

La realtà non si forma che nella memoria

(Dallla parte di Swann - Mondadori, pag. 224)

 

 

     Confesso che quella della Recherche è stata la lettura più sofferta di tutta la mia vita, per due ordini di motivi. Il primo riguarda lo stile proustiano, capace di creare sia pagine di altissima poesia, sia pagine noiosissime. Il secondo riguarda invece una strana sensazione: fin dalle prime famose parole  dell'opera,  mi sono sentito un lettore-analista. Una cosa ho capito subito: mi trovavo di fronte ad una persona dotata di una sensibilità e di una delicatezza d'animo fuori della norma: dovevo quindi abbandonare il regolo con il quale fino a quel momento avevo "misurato" l'approccio alla psiche di tutti i miei precedenti 'pazienti'. E' incredibile come nelle prime parole che una persona pronuncia all'inizio dell'analisi vi sia contenuto il mistero della sua anima: Per molto tempo, sono andato a letto presto la sera. A volte, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che nemmeno avevo il tempo di dire a me stesso: “M'addormento” (edizione Newton). In quel "M'addormento" era concentrata la natura lunare, notturna di Marcel: sto per entrare nel mondo dei sogni, sto per andare al teatro, sto per dar vita alla creazione di interi universi grazie alla mia straripante immaginazione, sto per catapultarmi  nella mia vita numero uno, pareva dire quel "M'addormento". Ma tale parola era il sigillo di tutta una sapiente preparazione crepuscolare: coricato, sera, candela, occhi che si chiudono, e soprattutto il tema del tempo,  che venendo rubato dal sonno improvviso, veniva come perduto. Il seguito dell'analisi mi confermò tutto questo: Marcel era un essere lunare e non solare. Lunare vuol dire tante cose: che non brilla di luce propria… che non può fare a meno di girare attorno ad un pianeta… che ha un aspetto notturno di cui è geloso…che gioca con le acque producendo maree…ecc. E anche di tutto ciò ebbi conferma.  Ma una cosa registrai subito in stampatello nella mente quando per la prima volta mi parlò della sua mamma nel periodo dell' infanzia: il suo amore per lei era talmente traboccante, che uscendogli dal  cuore come da un calice colmo gli inondava ogni cellula del corpo e sensibilizzava a tal punto ogni senso da trasformarlo in un unico grande immenso desiderio: consegnarsi al sonno solo dopo che ciascuno dei suoi sensi avesse attinto amore dalla straordinaria presenza della mamma, attraverso un bacio di buona notte. "Noi siamo qui - gli dissi - per percorrere un po' di strada insieme. Nessuno è maestro e nessuno discepolo. Ogni incontro  è un arricchimento". "Sarò felice di camminare insieme con te - mi disse - ad una sola condizione: staremo insieme per sette sole sedute, e la prima e l'ultima le faremo in un solo giorno, questo". Non so perché,  quella richiesta richiamò alla mente "l'eterno ritorno dell'uguale" di Nietzsche. Scrissi sul blocco appunti "Eterno ritorno", e ripresi la conversazione. "Ti confesso - disse Marcel - che mi sento a mio agio: sembra di stare seduti in un salotto. Anzi, mi ricorda quello di casa mia nei giorni in cui il sig. Charles Swann veniva a farci visita." "Chi era Swann?" chiesi.  "Un tipo  molto strano: un po' snob, salottiero, aveva un modo di parlare originalissimo: non faceva che riportare la realtà ad opere d'arte ammirate in passato. Pensa che si innamorò di una donna, ex cocotte, perché si accorse della rassomiglianza del  viso di lei con quello di una delle figlie di Jethro al pozzo, in un affresco del Botticelli della Cappella Sistina". Mi resi conto che mentre mi parlava di Swann, mi si formò nello schermo mentale l'immagine di questo simpatico figlio della borghesia ebraica di quel tempo, e quella gelosia folle che questi aveva per la moglie e di cui Marcel mi aveva parlato, gliela lessi in faccia.  Per il modo con cui il mio giovane amico me ne aveva parlato (amplificandola in mille modi), una  considerazione esplose spontanea: "Marcel è geloso". A quel punto abbandonavo lo studio e, ricercando il tempo perduto nella lettura della Recherche, ripercorrevo tutte le tappe che tale gelosia aveva caratterizzato nel romanzo pressoché tutti i personaggi: Gilberte, Albertine, Robert, di Charlus, ecc. La gelosia che martellava queste figure di sogno era la stessa gelosia di un bambino che voleva la mamma tutta per sé. Decisi di far ritorno, grazie all'immaginazione, nello studio. Marcel era ancora lì, seduto in poltrona. Stava ammirando la copia della restaurata Ultima Cena di Leonardo. "Quali sono i tuoi rapporti con Dio?" gli chiesi. Mi rispose con un sorriso che voleva dire tutto e niente. In quell'istante il desiderio di por fine a quell'aborto di analisi nacque improvviso, ma poi pensai che sarebbe stato interessante sapere da quel giovane quale fosse la sua massima aspirazione nella vita. "La tua massima aspirazione?" chiesi. "Scrivere un romanzo" mi disse senza nenache riflettere. "Perché?" incalzai. "Perché già è pronto" mi disse. "Ma se già esiste, che bisogno hai di desiderarlo?" aggiunsi. "E' prigioneiero del passato - rispose sicuro - devo solo liberarlo". "E come intendi farlo? Chiesi. "Attualizzandolo attraverso il sentimento". Fece un pausa e poi continuò. "Vedi, ogni attimo della mia vita passata è stato vissuto con una tale intensità da essere riuscito a creare col tempo una sorta di memoria sensitiva. Solo che essa non dipende dalla mia volontà: è involontaria, e la mette in moto solo un avvenimento di oggi analogo a quello di ieri. E' una memoria involontaria". Scrissi sul mio quadreno d'appunti: funzione sentimento straripante; fuga dalla realtà; narcisismo ciclopico. Dopodiché, imponendo un silenzio di riflessione, ripercorsi tutto il tragitto di quell'immenso fiume che è la Recherche, e con mia grande sorpresa, in una sorta di visione panoramica simile a quella provata da Jung allorché vide la terra dal cielo, vidi un anello di acqua. Il fiume era circolare: Marcel partiva da sé per arrivare a se stesso. Il suo romanzo, mi dissi sicuro, è la più completa manifestazione di Narciso. Tornai coi piedi per terra e gli chiesi quale fosse la figura geometrica che preferiva. Mi rispose: "il cerchio, perché non ha inizio e non ha fine". Mi si ripresentò l'immagine del fiume circolare, di un corso d'acqua che non portava da nessuna parte, che non poteva conoscere alcun oceano. Le acque erano calme: non scorrevano. Ma un particolare curioso mi colpì: quel lago circolare era 'tapezzato' di cerchi, come se migliaia e migliaia di bambini, dalla riva di questo enorme anello fluviale avessero scagliato sassolini. Solo che la dimensione di tali cerchi non andava oltre una certa misura, ed essi, raggiuntala, cominciavano a girare sul loro invisibile centro. Quei cerchi, mi dissi sicuro, sono le varie vicende, i vari personaggi. Tutte cose che girano in tondo, che non hanno sbocco. Per la prima volta nella mia vita avevo assistito allo "scorrere" di un fiume senza meta. Era quella la chiara immagine dell'ateismo di Marcel. Lui era il  dio di se stesso. Ma le impressioni mi incalzavano: la Recherche è  un  romanzo acquoso tuonò con  sicurezza la voce dell' intuizione, e la mente razionale non poté che accoglierla. Sì, è proprio così, dissi a me stesso. Tutti i personaggi del romanzo, seguendo la via di minor resistenza, come l'acqua, tendono a guadagnare i posti più bassi.  A questo punto nasceva un problema: "abbiamo un problema - dissi - e credo che è tempo di risolverlo. Tu hai detto poc’anzi che le sedute devono essere sette e che la prima e l'ultima devono esser fatte oggi. Perché?" Marcel prese fiato lentamente e lo trasformò in parole davvero sorprendenti: "Io non sono solo un uomo, ma anche il romanzo che andrò scrivendo, e siccome sono nato prima come romanzo e poi come uomo, mi sono donato a tutti voi lettori prima come libro e poi come uomo da analizzare. La prima seduta e l'ultima sono già in pieno svolgimento, non ti pare?". Aveva perfettamente ragione. Quello che nelle mie intenzioni doveva essere un modestissimo saggio sulla Recherche era divenuto un doppio incontro: con un romanzo e con un uomo che non ne poteva essere l'autore perché ne era una sorta di fratello minore. Il giochino cominciava a diventare interessante. "Ma il romanzo è morto" esplose in me una voce involontaria di cui mai avrei sospettato l'esistenza. "Morto? E perché mai sarebbe morto?" disse Marcel divertito. Risposi: "Morto, nel senso di perduto: ormai nessuna memoria involontaria potrà più portarlo in vita… E poi c'è da considerare un altro fatto". Mi invitò con un cenno della mano a proseguire. "Tu hai voluto a tutti i costi fare della tua Recherche un'opera d'arte, ma fra tante opportunità ha scelto di darle natura musicale. Ora, tu ben sai che la musica, unica fra tutte le arti, non ha un originale come può essere un quadro per la pittura, una statua per la scultura ecc. Sì, la gente può leggerla come romanzo, ma così facendo tradisce le note nascoste che contiene, che solo tu sai intonare. Difatti centinaia di letterati hanno dato vita a critiche letterarie e non musicali. Nessuno ti ha capito, Marcel: in ogni pagina del tuo romanzo c'è una certa frase musicale che a te solo riesce a parlare, che solo in te riesce a creare quello stato d'animo che la frase di Vinteuil o l'affresco del Botticelli produceva in Charles Swann. E tutta questa massa di tuoi fanatici ammiratori si è fermata solo al colore dell'inchiostro con cui scrivevi la tua musica". "E' interessante quello che dici e mi sento di condividerlo - disse Marcel - e capisco perché hai detto che il romanzo è morto: io ho scritto musica e "l'interprete" esegue parole. Una cosa però non ho ben compreso: tutto questo è un complimento o una stroncatura?" "La gente non ha capito che i tuoi sensi non sono comuni. Non ha realizzato come attraverso di essi tu riesca a trasformare un evento in vibrazioni e come le parole con cui riesci a racchiuderle altro non siano che 'pentagramma'. La maggior parte delle persone è superficiale, non va mai al fondo  delle cose. E della la tua Recherche è arrivata appena alla pelle". "Apprezzo quello che hai detto, ma poiché non sono nato ieri, devo confessarti che  dalle tue parole sento salire su un motivetto, una frase che mi crea disagio. Ho visto giusto?". "Sì, i tuoi sensi, ancora una volta hanno fatto centro. E' ora di por fine a questo divertente gioco analitico e allusivo. Parliamoci chiaramente, ma per farlo ti invito ad usare la testa e non il cuore, perché qui  nessuno sta scrivendo romanzi. Prima, però, voglio che tu sappia una cosa". "Sono tutto orecchi". "Voi artisti non vi siete mai resi conto del potere delle vostre opere. Come gli scienziati, guardate al futuro in modo unilaterale. A volte, quello che si dice o quello che si scopre, se finisce in mani sbagliate, può procurare tanti di quei danni che nemmeno potete immaginare. Marcel, voglio essere sincero con te: credo che tu sia un nichilista, anzi che lo sia stato sin da giovane. Ti ricordi la lettera che scrivesti ad Antoine Bibesco? Je sens tout le néant de ma vie, cent personages de romans, mille idées me demandent de leur donner un corps comme ces ombres qui demandent dans l'Odyssée à Ulysse de leur faire boire un peu de sang pour les mener à la vie et que le héros écarte de son épée (Io sento tutto il niente della mia vita, cento personaggi di romanzo, mille idee mi domandano di donare loro un corpo come quelle ombre che nell'Odissea chiedono a Ulisse di far loro bere un po' di sangue - quello dell'animale appena sacrificato - per essere ricondotte alla vita ma che l'eroe allontana  con la sua spada)."  Marcel mi guardò perplesso: "Non ricordavo più questa lettera. Ma che c'entra col nichilismo? Ti attacchi alla frase "sento tutto il niente della mia vita"?  "Non per quello. Tu hai cominciato un'Opera Alchemica, hai sigillato il tuo 'vaso', sei disceso agli inferi, e per oltre dieci anni hai vagato nel regno delle ombre. Come Ulisse hai dovuto fare un sacrificio 'di sangue'. Ma il sacrificato coincideva con il sacrificante, e quando alla fine dell'Opera al Nero, dopo la lunga Notte Oscura dell'Anima, doveva spuntare "l'alba" di un nuovo giorno, accadeva che il vecchio oscuro giorno venisse trasfigurato da un lampo di sensualità: tu riproponevi il vecchio. Hai preso una lunghissima rincorsa per saltare, ma alla fine non ti sei staccato da terra. Quindi il messaggio chiaro è stato: la vita è sogno, dunque un niente, e, paradosso dei paradossi, colui che sogna non è il Sognatore, ma un piccolo 'io' di sogno che è la bugia delle bugie, l'illusione delle illusioni, l'inconsistenza assoluta." Marcel mi fissò negli occhi, si alzò e andò verso la copia dell'Ultima Cena di Leonardo: "Ma l'arte - mi disse - mi ha fatto uscire dal tempo. Io ho avuto delle estasi". "L'illusione, il sogno non possono diventare realtà sol perché una fortissima carica emotiva li presenta sotto i riflettori della poesia. Persona eri all'inizio della tua Nekyia (evocazione dei tuoi fantasmi - in senso lato, discesa agli inferi), persona eri alla fine. Quando si va oltre il tempo, caro Marcel, SI E' (uno con) DIO, ed i 'romanzi' che si scrivono sono sapienziali, solari, BELLI."  "La mia sperienza non può togliermela nessuno. Ne ho fatto un romanzo che tu hai letto". " No, Marcel. Il tuo romanzo io non l'ho letto: l'ho sofferto. Ho sofferto per la tua grande sensibilità, per la tua grande intelligenza, per la tua poesia ferita, per la tua 'inquietudine sessuale'. Ho sofferto per le tue sofferenze. Ma ho sofferto soprattutto per quell'alba che non è mai spuntata. Ecco perché parlo di nichilismo: i sogni sono niente, e chi decide di votarsi ad essi segue il nulla. La vita è un errore, dici nella Recherche, ma l'errore sta solo nella frase che dici: la VITA è quell'Io Sono di Mosé nell'Esodo, quel Dio di tutte le religioni del mondo che è il nucleo vero, fondamentale di ogni essere. E' l'essenza vera dell'uomo. Se la tua esperienza  L' avesse davvero sfiorata, il tuo romanzo, pur con gli stessi personaggi, sarebbe stato diverso, verticale e non orizzontale. La Vita Nova non può riproporre storie vecchie.  Chi vince gli altri è forte (e tu con il tuo infinito romanzo ne hai vinti parecchi), chi vince se stesso è un eroe, dice il Tao Te Ching. Marcel, tu sei riuscito a vincere te stesso?". Il mio giovane compagno di viaggio non mi rispose subito. Continuava ad osservare l'Ultima Cena in copia del Leonardo. Poi, con voce calma e sicura mi disse: "Dio non esiste" e dopo avere staccato il quadro dalla parete lo riappase al contrario. "Dio non può esistere - gli dissi mentre rigiravo il quadro - così come tu intendi la sua non esistenza. Egli è la tua essenza e pretenderesti di trovarla lì da qualche parte fuori di te. No, in questo senso non può esistere. Come può un personaggio irreale come quello che si muove su uno schermo di cinema rendersi conto che senza luce e senza schermo lui è niente? Come può mai capire che lui è solo emanazione della Luce? I mistici di ogni tempo e i grandi filosofi almeno una volta nella loro vita sono stati abbagliati dalla Luce di quel Proiettore che è l'Essere Assoluto e Vero, e ne hanno parlato. I nichilisti, caro Marcel, sono il paradosso dei paradossi: loro, personaggi dello Schermo, negano l'esistenza della Luce che rende possibile la loro stessa apparenza. E' forse questo che hai scoperto con le tue esperienza extratemporali dovute alla tua memoria involontaria?"

Marcel era sparito: la mia immaginazione lo aveva 'spento'. Si era rifugiato nelle pagine del suo libro per ricominciare un altro giro di giostra: "Longtemps, je me suis couché de bonne heure (Per molto tempo, sono andato a letto  presto la sera…).

 

 

 

************************************

 

    

     Non sappiamo se Marcel Proust si ripresenterà nel nostro studio immaginario e se potremo mai portare a termine le altre cinque sedute. Lo speriamo perché, avendo noi appena sfiorato la Recherche, ci piacerebbe soffermarci un po' di più su: la gelosia che pervade l'opera, la sessualità ossessiva di cui è zuppa, l'introspezione quasi maniacale che l'io narrante conduce con ritmi lenti e demolitori, ma anche la poesia, lo stile, la storia, l'aspetto sociologico, e poi ancora i numerosi personaggi: Il padre di Proust pressoché assente, la mamma e la nonna, amatissime da Marcel, con le loro abitudinarie letture; zia Léonie, Francoise, Swann, Bloch, Odette (la Sefora - moglie di Mose` - del Botticelli), I Verdurin con il loro salotto, i Guermantes con altrettanto salotto; Albertine e Gilberte (gli amori malati di Marcel), Robert Saint-Loup, di Charlus, Morel, Jupien, e tanti tanti altri personaggi che altro non sono che i numerosi 'io' di Marcel. Ed infine soffermarci sulle località, sui paesaggi, sui campanili delle chiese, sui biancospini e su mille altre cose. Ma un saggio che volesse affrontare tutti questi temi richiederebbe un durissimo lavoro di ricerca, perché su di essi si sono espressi migliai di critici e sarebbe doveroso conoscerli. Sappiamo, da quel poco che abbiamo letto, che la stragrande maggioranza di essi sono entusiasti dell'opera, e che solo in pochi sottolineano l'aspetto patologico e decadente della Recherche (per esempio Benedetto Croce). La cosa ci ha incuriosito molto, ma alla fine ci siamo convinti che gli entusiasti guardano solamente lo stile letterario, l’estetica, la poesia. Mentre un poderoso pensatore come Croce non poteva esimersi dall'attaccare aspramente il modo con cui Proust 'usa' la storia ai fini del recupero del suo passato e senza tener conto degli insegnamenti morali ed etici di cui essa è portatrice. Il grande filosofo era molto preoccupato dell’ apologia che Marcel faceva dell'omosessualità in modo palese con di Charlus e Morel, ed in modo velato con gli amori per Gilberte e Albertine. Croce, dunque, si soffermava sull'aspetto educativo del libro e vedeva in Proust un cattivo maestro.  Noi ci limitiamo a dire che Proust non è certamente un maestro di vita, sia per il suo decadentismo letterario, sia per il suo ateismo, sia per le sue apologie. Ognuno può vivere la propria sessualità come vuole, ma additare come sublime l'omosessualità ed incompleta l'eterosesualità ci pare inopportuno. 

Per cio` che riguarda il discorso sull'arte preferiamo quanto su di essa dicono Platone, Plotino, tanti altri grandi filosofi, e lo stesso Croce, che in un passo di "Pensieri sull'arte dell'avvenire" del 1918, a proposito dell' "atteggiamento da adottare nei tempi antiartistici", scrive: "Il decadentismo e futurismo è conseguenza ultima e necessaria di un lungo svolgimento e di una lungamente preparata dissoluzione morale e intellettuale; e come si potrebbe sopprimerlo? Bisogna lasciare che si sfoghi, e trarsi da parte durante il suo imperversare, il quale, a mio giudizio, come ho già detto, per un pezzo ancora crescerà".  Purtroppo, ancora oggi, sta crescendo: siamo alla fase dell'arte spazzatura e ancora per un bel po' bisogna trarsi da parte. All'Anti-Cristo va di certo aggiunto l' Antia-rtista, cioe` tutta quella schiera di pseudo artisti che in coro hanno gridato la seconda grande bestemmia: il Bello è morto!  Ma paradosso dei paradossi è che anche costoro, come ogni cosa dell'infinito universo, sono contenitori di Vita, di Dio, di Bello. Che tristezza!

Infine, un'ultima cosa: molti di noi, almeno una volta nella propria vita, ha affrontato in analisi o in autoanalisi una discesa agli inferi. Ora, considerato che su questa terrra vivono miliardi di persone, supponendo che un dieci per cento di esse abbia affrontato la discesa nei sotterranei della propria anima, chiediamoci: che cosa diventerebbe la psiche collettiva se tutti codesti alchimisti si scambiassero la loro ‘recherche’? Noi crediamo che il mondo esploderebbe. Certo, in nome di una fraintesa psicanalisi, di ‘arte spazzatura’ ne è venuta fuori tanta da rendere quasi invivibile questo pianeta, e l'esplosione non tarderà a venire. Ecco perché critichiamo molto tutti quei critici che non hanno voluto sottolineare l'aspetto patologico della Recherche. Va bene la poesia, va bene la letteratura lo stile le virgole e quello che volete, ma un libro è pane per le menti, ed un critico ha il sacrosanto dovere-diritto di indicare quanto di quel frutto psichico è commmestibile e quanto può essere indigesto se non velenoso. Proust ha fatto la sua bella discesa agli inferi ed ha voluto raccontarcela. Ne abbiamo letto il resoconto, abbiamo manifestato tutto il nostro affetto per la persona, ne abbiamo sottolineato la sensibilità, l'intelligenza, e mille altre doti umane, ma abbiamo ritenuto anche giusto 'correggere' una critica monca che ha voluto trovare fra le righe dell'infinito romanzo la pagliuzza che a volte neanche c'è, per ignorare non si sa bene perché l'evidente trave, che, forse in maniera un po' brutale, ha sottolineato uno solo, Benedetto Croce.

Non stiamo condannando nessuno, né stiamo criticando l'omosessualità di Proust. Stiamo solo dicendo che la Grande Opera non termina con l' Opera al Nero (leggi: discesa agli inferi). Né il discorso sull' arte ed il recupero del passato riescono a farci vedere in Marcel un maestro di vita.

"Chi vuole disfarsi dei rifiuti non ha bisogno di analizzarli" diceva Ramana Maharshi. L'inceneritore proustiano non ha funzionato bene. "Il nocciolo della gelosia -diceva Jung - è la mancanza d'amore" ma diceva anche che  La domanda fondamentale per l'uomo è questa: è egli rivolto all'infinito oppure no?" La vita è sogno, caro Marcel, e nessuna realtà puoi mai trovare nel sognare. Chissà che grande maestro saresti divenuto se l'Opera appena cominciata non fosse finita lì.

 

Grazie Natale Misssale

 

 

 

 

 Testi consigliati:

Alla ricerca del tempo perduto - Proust - ed. Newton a cura di P. Pinto e G. Grasso;

Proust e la critica italiana - idem.



Indietro