Galimberti e l'anima

 

Secondo Galimberti, l'idealismo di Socrate-Platone avrebbe "percorso l'occidente come suo lungo errore…  e da questo errore la filosofia si sarebbe  emancipata con Nietzsche che ha denunciato quel retro-mondo, quell' al di là inventato per meglio calunniare l'al di qua…" (U. Galimberti - Il Corpo - Feltrinelli, pag. 12). Abbiamo riportato questo brano, per dire subito che noi non ne condividiamo i contenuti, e che l'unico errore che ha percorso e percorre quest'occidente è il nichilismo. Nonostante queste premesse, abbiamo deciso di dedicare un saggio al prof. Galimberti per due motivi. 1°) perché è un grande divulgatore della filosofia  (e non solo); 2°) perché il suo dire è "poetico",  ricco di quel particolare fuoco che solo il vero ricercatore, quello cioè che si impegna con tutte le sue forze e… con tutta la sua anima, riesce a manifestare. Dal nostro punto di vista (modestissimo) speriamo solo che questo fuoco infiammi il lettore delle sue numerose opere e lo spinga verso una propria ricerca personale che scopra nella "seconda navigazione" di Platone non una menzogna, ma la verità sulla metafisica e sull' anima in particolare. Platone, a nostro parere, oltre che filosofo è stato un grande mistico iniziato ai misteri. Delle sue particolari esperienze, che secondo noi non dovrebbero essere molto differenti da quelle di Plotino, per libera scelta non ne ha mai parlato. I suoi dialoghi sono solo una conferma di queste esperienze, ed il fatto che con più o meno convincenti argomentazioni essi possano essere contraddetti, nulla toglie alla verità che essi hanno veicolato e veicolano. Dire che Platone si sia inventato il concetto di anima immortale solo perché Omero di tale immortalità non parlava, ci pare un argomento debole a sotegno della tesi che l' anima e l'al di là siano invenzioni, e che l'idealismo è un errore millenario. L'orfismo non può essere liquidato come una religione popolare in contrasto con quella ufficiale della Grecia di allora. Esso è stato il frutto delle esperienze di un grande mistico, che grazie alla sua "illuminazione" ha potuto trasmettere, in qualche modo, le sue "verità" ad alcuni discepoli, che a loro volta… Le grandi religioni sono sempre nate dalla scoperta di una fetta di verità da parte di un mistico, e pertanto non possono essere liquidate come invenzioni sol perché fino a quel momento nessuno aveva mai parlato dei  contenuti di esse. Per i mistici di tutto il mondo, la ricerca spirituale è una vera e propria ricerca "scientifica". Poiché ognuno dei fondatori di religione ha incontrato il divino facendo un certo percorso, ogni particolare momento di tale percorso è stato da loro codificato in precise regole. Il Buddha ha dato le sue, Krisna le sue, Gesù le sue, e così via. Omero era un poeta, non un mistico. Pertanto non poteva che parlare dell'anima in forma poetica. Come l'intelligenza umana  progresce nel corso dei secoli, lo stesso  dicasi della coscienza, e, perché no, della "scienza" dello spirito. Il mistico, al pari dello scienziato, è un ricercatore. Egli scava all'interno della sua miniera, cioè nella propria interiorità, mentre l'altro scava all'esterno. Forse che Einstein ha detto fesserie,  è caduto in errore con la sua relatività e tutte le altre teorie, sol perché Newton non ne ha parlato? Certamente no. Ma nella scienza c'è la verifica sperimentale che conferma le teorie, verrà detto. E noi diciamo che anche nella ricerca interiore c'è possibilità di verifica. Ora, Possiamo allo stesso modo affermare che Jung, col suo Inconscio collettivo, è caduto in errore solo perché Freud non ne ha parlato? Sicuro che no. Dove sta allora l'errore e la bugia di Platone, nelle accuse di Nietzsche e di tutti quelli che lo seguono? E chi è Nietzsche, la verità assoluta e inconfutabile? Nietzsche è solo un grandissimo pensatore-poeta che ha un punto di vista rispettabilissimo, ma che può anche essere sbagliato, perché, fino a prova contraria, le "chiacchiere filosofiche" (con tutto il rispetto per la Filosofia) non sono matematica e formule. Se nell'Antico Testamento non viene fatto cenno all'immortalità dell'anima, ciò non vuol dire che tutto quello che in esso non è scritto è errore.  La psicanalisi si occupa di psiche, e come per la filosofia in essa sono presenti tantissime scuole e indirizzi. Forse che Adler ha detto sciocchezze perché dice cose diverse da Freud? Forse che Jung è in errore perché ciò che dice è diverso da quello che dice Fromm, Jaspers o Galimberti? No, ogni scuola ha scoperto un lembo del velo che copre la verità della psiche. Tutte le scuole sono rispettabili e vere. Cambiano solo i punti di vista. E soprattutto cambia il soggetto indagatore. Sposando la tesi junghiana, fa benissimo il prof. Galimberti a non considerare scienza la psicanalisi perché in essa soggetto e oggetto di indagine coincidono. Ebbene, noi crediamo che anche per il misticismo e per la filosofia vale la stessa regola: nessuna scuola può atteggiarsi a scientifica e a detentrice della verità. L'esclusiva non ce l'ha nessuno in questi campi. La psiche è vasta quanto tutto l'universo e forse più, ed i suoi limiti sono irraggiungibili. Come ogni scoperta scientifica viene superata da una successiva, così ogni verità mistica può essere superata da una successiva verità. Soggetti diversi, diverse verità, o meglio aspetti diversi dell'unica verità. Né abbiamo intenzione di affrontare il difficilissimo problema di cosa sia la verità e se essa possa avere o meno oggettività. I limiti che ci siamo imposti in questo breve saggio lo escludono. Diciamo solo che l'anima del misticismo è una e oggettiva, sia che essa parli la lingua di Orfeo, di Platone, di Agostino, Plotino, Bohme, Eckhart, ecc., essa è sempre comprensibile al mistico vero, nonostante egli sappia bene che ognuno di questi "veri filosofi" parla dal punto di vista della propria esperienza. E' proprio l'esperienza che dà vero sapere. Parigi la conosce meglio chi l'ha visitata e amata, mentre chi l'ha studiata sui libri e sui films, ne ha una conoscenza indiretta: non ne ha annusato gli odori, non ne ha visto i colori, non ne ha mangiato i cibi, non ne ha toccato gli abitanti con una calda stretta di mano, non ne ha ascoltato la lingua, non ne ha respirato l'aria, non ne ha visitato i musei, il lungo Senna, non ne ha conosciuto l'essenza, l'anima, ecc. E per noi Platone è un filosofo-mistico che "ha visitato Parigi", che conosce ciò di cui parla.
Detto questo diciamo che Gli equivoci dell'anima del prof. Gaimberti (ed. Feltrinelli) è un testo che raccomandiamo di leggere, perché traccia la storia dell'anima come meglio non ha fatto neppure Rohde. Esso, come tutti gli altri scritti di questo grande pensatore, sono un pozzo di filosofia, filologia, poesia, storia, psicologia ed altro. In una parola, sono: cultura. L'importante è rimanere viigili, critici, e non farsi ammaliare dallo stile e da quella che noi chiamiamo poesia. Ognuno deve pensare con la propria testa. Il pensiero degli altri ci deve solo spingere sempre più verso noi stessi, la nostra interiorità, per meglio conoscerci al fine di conoscer meglio gli altri. Il nichilismo nietzschiano non è il tetto della filosofia. Questa non può avere tetto, o perlomeno, suo tetto può essere considerato un misticismo non dogmatico, non fanatico, non rigido, capace di rincorrere quell' Orizzonte che è la verità oltre ogni spazio ed ogni tempo. Solo un ego ha la presunzione di poter dire "ho conosciuto la vetta della filosofia". Un mistico attraversa continuamente il confine fra il proprio ego ed una sorta di impersonalità che lo fa straripare da tutti i sensi e che espande mente e  coscienza, egli non potrà mai affermare una cosa del genere. Il Dio del mistico è un Se stesso che sa di non potersi mai afferrare perché è soggetto ed oggetto della ricerca che vorrebbe conseguirLO. I filosofi moderni mancano forse di modestia, umiltà e slancio eplorativo: si sono arenati sul nichilismo di Nietzsche e non hanno saputo far della propria mente una novella arca con cui affrontare una "terza navigazione". Sono impantanati. Alcuni filosofi, alcuni scienziati, alcuni pensatori in genere si sono autonominati pontefici, e pontificando in tutti i salotti accessibili, hanno diffuso il nichilismo come religione (!), senza tenere conto né del buon senso, né delle sagge parole che Jaspers (un filosofo-psichiatra caro al prof. Galimberti) ci ha regalato in La filosofia dell'esistenza (ed. Laterza, pag. 89):
"La storia degli ultimi secoli sembra insegnarci, come profondo ammonimento, che la perdita della religione trasforma tutto quanto. Si estingue sia l’autorità sia l’eccezione; tutto sembra venir posto in dubbio e divenir fragile. Non vi è più nessuna assolutezza, quando si arriva alla conclusione che nulla è vero e tutto è permesso. Con il disorientamento nasce il fanatismo che si chiude in strettoie e non vuole più pensare. Insieme alla religione, come presenza della trascendenza, svanisce la vera realtà. La religione ha perduto ogni forza, essa è come una statua che ha ancora l’apparenza splendida, ma che interiormente è già disgregata: un urto ed essa cadrà in polvere senza far  resistenza ma, come per incantesimo, insieme a colui che l’ha urtata" (la sottolineatura è nostra).
L'anima è fuga dal tempo e dal mondo, dice Galimberti attacando direttamente il cuore della dottrina platonica che considera il corpo prigione dell'anima, ed aggiunge che in greco essa vuol dire vento, soffio, respiro. Ma il vento che scuote l'albero non si è mai considerato albero; l'aria che dà vita all'uomo non si è mai considerata uomo. L'aria e il vento appartengono all'elemento alchemico aria, non possono essere considerati terra. Il corpo può essere assegnato a quest'ultimo elemento, non l'anima. Quindi, questa non scappa da nessuna parte, non abbandona tempo e mondo; ricorda solo al corpo di essere altro da esso, pur trovandosi in esso. Basta osservare il cadavere "fresco" di un morto per convincersi di questo: il guscio, un secondo dopo la dipartita dell'anima, non ha più nulla a che vedere con il vero soggetto del defunto. Quel corpo non è più, non perché il cuore si è fermato, ma perché l'essenza è andata altrove: è stato abbandonato dalla Vita. Quel Soffio che scuoteva le fronde di quell'ormai rinsecchito albero non soffia più.
Ma è poco più oltre che incontriamo un fragile pilastro nella costruzione dell' equivoco: "la nozione di anima… è nata storicamente dal pensiero greco". Quando Orfeo o chi per lui diede vita all'orfismo, non creò una scuola di pensiero, ma una "scuola mistica" in cui veniva raccontata un'esperienza ed i modi attraverso cui era stata conseguita. L'anima, sia come concetto, che come essenza del corpo, nasce dall'esperienza e non dalla mente.  Costruire su questi presupposti l' equivoco, vorrebbe dire equivocare. Che i filosofi e i pensatori in genere si siano appropriati poi del termine e quindi del concetto che esso indicava, è un altro paio di maniche.
Detto questo diciamo che il Galimberti, seguendo le orme del Rohde e di altri studiosi, comincia a raccontare la storia dell'anima a partire da Omero, dicendoci che con le parole soma e psiche il vate non indicava l'anima né il corpo del greco del V secolo. Su questo non ci piove. Ma affermare che (lo dicevamo sopra) i concetti di anima e corpo del quinto secolo siano falsi perché Omero non ne parla, ci sembra un altro equivoco. L'orfismo non ci pare sia stato una fucina di bugie o di errori. Nessuna scuola mistica lo è mai stata, anzi. Affermare che l'antropologia omerica è vera e quella orfico-platonica è falsa, non ha senso. Sono solo diverse e basate su diverse esperienze. Se l'uomo omerico non "ospitava alcuna trascendenza" è perché Omero non aveva preso contatto con ciò che Orfeo avrebbe (ripetiamo, dopo diretta esperienza di essa) chiamato anima così come ancora oggi la intendiamo. Omero non aveva scoperto in sé, forse per mancanza di tempo, visto che, anziché scavarsi dentro, poetava, nessuna "sovraistanza veritativa".  Insomma, per Galimberti l'anima è creata dal pensiero filosofico. Mentre secondo noi, il pensiero filosofico nasce dall'esperienza dell'anima. "Le verità si fabbricano, e l'anima diventa quel laboratorio di fabbricazioni linguistiche da rintracciare negli stessi linguaggi fabbricati" (Pag. 39 op. cit.). Per Galimberti, Platone rimuove il corpo. Ma Platone raccomandava solo di non farsi trascinare nel vortice dei sensi. Ricercare la verità richiede purezza. Anche il Buddha lo predicava. Platone non ci sembra affetto da patologie mentali, né ci sembra invitasse a rimuovere il corpo. Suggeriva solo, a chi si dava alla vera ricerca della saggezza, di non farsi comandare dai sensi ma di esserne padrone. La patologia potrebbe piuttosto scaturire dalla rimozione dell'anima da parte di quei nichilisti che, in omaggio a Dioniso, hanno tolto ogni freno ai loro sensi. Loro sì, rischiano di distruggere (altro che rimuovere) il corpo.
Partendo dalla rimozione del corpo, la felicità non potrà mai più esser trovata qui su questa terra e con il veicolo fisico, ma in un mondo che sta oltre. La verità comincia ad avere una relazione esclusiva con l'anima. Cosa che sarà ripresa dal Cristianesimo. Questo dice Galimberti, non considerando minimamente la possibilità che il maestro Gesù possa aver sperimentato (se proprio non si vuol credere alla sua natura divina) ciò che andava predicando. Si ripete l' equivoco fatto con Orfeo: il pensiero creerebbe la verità. Ma se così è, l'opera di Galimberti che stiamo trattando è un semplice tentativo di creare una delle tante possibili verità!  Perché commentarla, dal momento che anche il nostro commento altro non sarebbe che un tentativo di creare un'ulteriore verità? Che ognuno, allora, si crei il suo bel pantano di verità e come la famosa ranocchia della favola si convinca di trovarsi nell'oceano, e cra! Cra!  A chi fa male?
Piano piano Galimberti ci conduce al pensiero che Plotino ha dell'anima. Ma ci riporta quel passo di Enneadi III in cui l'anima, non più paga di essere presente alla totalità del mondo ideale, preferisce la frammentazione e la successione, per cui temporalizza se stessa. La verità non è più data da idee eterne, l'anima non  è più "invariante" rispetto a ciò che attraversa il tempo, e la decifrazione della storia può avvenire  solo "secondo l'unità di un destino che deve condurre all' e-stasi temporale, all'uscita dal tempo", dice Galimberti, "eppure - continua - nonostante questa incongruenza, la via è ormai aperta, e basterà attendere la fine del cristianesimo per vedere anche la storia completamente consegnata ad una temporalità senza più scopi né fini". Ed a questo punto sarebbe salutare rileggersi il brano di Jaspers sopra citato. Nietzsche impazza. Possiamo parlare di nichilismo? E' una domanda.
Attraversando il cristianesimo, ad un certo punto giungiamo a Cartesio che "nel radicalizzare il dualismo platonico, finisce con l'abolirlo, risolvendo corpo e mondo in rappresentazioni dell'anima che così diventa l'orizzonte assoluto della presenza" (Op; cit. pag. 52). Per Cartesio non vi è nulla che sia più facile a conoscere che il suo spirito, e "questo spirito - dice Galimberti - non è più l'anima platonico-aristotelica che abita il corpo e il mondo, ma l' ego cogito che ne fissa esattamente le misure attraverso quell'operazione idealizzante che non ci mette in contatto con le cose, ma con le loro forme matematiche, per cui non è più il corpo o il mondo a dire di sé, ma sono le funzioni anticipanti dell'ego a dire che cos'è il corpo e che cos'è il mondo…queste funzioni…producono oggetti ideali che valgono come norma per l'interpretazione delle cose reali" e così "il mondo delle idee inaugurato da Platone, sopravvive al platonismo (id. 53). A questo punto l'anima riflette l'organizzazione del mondo  tramite un corpo di discipline.
Portando avanti la tesi di Nietzsche, Galimberti, nel capitolo  Gli strumenti del sapere, dopo avere riportato un frammento postumo del filosofo in cui si afferma che non esiste nessuna cosa in sé, e che la conoscenza può essere solo interpretazione e non spiegazione, ci dice: "Nietzsche esplicita la persuasione …secondo cui non c'è verità nei saperi, ma sono i saperi a produrre verità: le verità si fabbricano. Il problema è di conoscere gli strumenti che presiedono alla fabbricazione" (pag. 119 op.cit.). Tutto ciò è inquietante, ma ci permette anche di fare una considerazione: Se ciò è vero, Nietzsche non conosceva bene gli strumenti di cui sopra, perché un filosofo che si rispetti ha il sacrosanto dovere di fabbricare verità che non creino il male, il caos, verità che non distruggano ma costruiscano, verità che invitano a vivere e non a morire: il nichilismo è un veleno mortale.
Ma che il prof. Galimberti abbia sposato le tesi di Nietzsche ci viene confermato da quanto nel suo Psichiatria e fenomenologia - Feltrinelli, pag. 288, laddove, riportando due casi clinici di due anoressiche dice: "Il loro desiderio d'esser magre, la loro anoressia era la risposta all'ideale nascosto d'essere incorporee, pure presenze 'spirituali' che lo sguardo dell'altro non avrebbe mai potuto penetrare. E' questa una tentazione di onnipotenza, l'onnipotenza dello 'spirito' non condizionato dai limiti della materia; una tentazione che la nostra cultura ha coltivato, proiettato e ipostatizzato nel concetto di Dio. Spirito purissimo senza corpo, Essere in sé e per sé, l'esatta definizione dell'autismo" (la sottolineatura è nostra). Dio come "ideale psicotico della acorporalità".
Finisce qui il nostro breve saggio. Ci rendiamo conto di avere a mala pena sfiorato "l' equivoco…" di Galimberti. Pertanto invitiamo a leggere la sua opera, al fine di avere un quadro completo del suo pensiero relativamente all' anima.
Vogliamo però lasciarvi in ascolto. "Sentite" un po' cosa diceva Martin Heidegger: "Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. E' già diventato talmente povero da non poter più riconoscere la mancanza di Dio come mancanza".

Grazie, Natale Missale



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