QOELET - cap 2 vv. 1-14

Che cosa è il bene per l’uomo? Si chiede Qoelet.
Acquisire un bene è, innanzi tutto, ottenere un “vantaggio”. Si nota subito l’aspetto pragmatico della ricerca. Bene indica, dunque, qualcosa di concreto che è in connessione immediata con l’esperienza.
Da quel che traspare in questi primi capitoli, non desta interesse la ricerca del Bene in assoluto, cioè il bene-per-Dio. Basta, per il momento, sapere cosa sia il bene-per-l’uomo, allo scopo di sapersi destreggiare nella vita acquistando benefici.
L’oggetto della ricerca è dunque ottenuto mediante l’esperienza con il contributo dei due sensi principali, la vista e l’udito: “ l’occhio non si sazia mai di ciò che vede,
  né l’orecchio si riempie di ciò che ode”. Anche qui Qoelet si accorge che né l’occhio né l’orecchio  possono vedere e sentire le cose fino in fondo, e già questo dà il senso del limite alla conoscenza umana, a cui consegue un senso di frustrazione e di infelicità.
“Che vantaggio viene all’uomo di tutta la fatica di cui si affatica sotto il sole?”
E’ interessante osservare alcuni vocaboli-chiave del testo come “la fatica”, cioè il lavoro nel suo aspetto di fatica. Così come le espressioni “sotto il sole” e “sotto il cielo”. Il sole è visto come qualcosa che non potrà mai uscire nel suo moto dall’ordine della natura, qualcosa di stabile a cui l’uomo viene soggiogato, così altrettanto il cielo, che è sentito come una cappa che l’opprime e lo sovrasta, impedendogli di vedere o di sapere che cosa vi sia al di là.
Per rinfrancarsi da tale stato di soggezione e di sofferenza, l’autore esamina quali mezzi possano sollevargli l’animo e rendergli gradevole la vita. Parte dai più semplici, che sono i più comuni e grossolani. Comincia col provare lo stato di allegria, nel senso di sfrenatezza, e i piaceri , i più dissoluti e incontrollati; poi, prova a darsi al vino, che stordisce e rende annebbiata la mente.
Sono i mezzi che, posti sul glifo cabalistico, rientrano nella sfera delle kelipoth, la via cosiddetta della follia, la via di tutto ciò che obnubila la mente e fa dimenticare, l’opposto della sapienza che stimola il pensiero e risveglia la coscienza.
Inizia quindi la descrizione dei tipi più nobili di esperienze, che rientrano nella sfera delle sephiroth. Al primo gradino (Malkut) Qoelet si concede l’aiuto di “schiavi e schiave” per l’attuazione delle sue opere, indi si avvale di “armenti e greggi “ per il consumo di carne e il suo contributo al piacere della tavola. Poi, via via nei livelli più sofisticati, oltre all’ambizione di accumulare “oro e argento”, cerca il piacere di collezionare opere artistiche di nobile fattura, che divengono oggetto di contemplazione estetica (Hod) e in più trova soddisfazione nel possedere tesori procurati dalle vittorie di guerra  (Geburah). Nell’ambito della musica, scopre il gioioso piacere di ascoltare “cantori e cantatrici” (Netzach) fino alla “delizia dell’uomo”, la frequentazione esaltante di “principesse in gran numero” con il loro colloquiare sapiente e raffinato (Chesed). Ma conclude, tuttavia, che anche i piaceri più elevati e spirituali come l’arte, la musica e la filosofia sono cose vane, “che tutto è vanità, e che non c’è vantaggio sotto il sole”.
Due cose rimangono all’attivo nella sfera dei valori. La prima è il valore della soddisfazione: “il fatto che il mio cuore fosse contento di ogni mia fatica e questo era il solo guadagno che mi veniva di ogni mia fatica”. La seconda è il valore della sapienza: “mi resi conto che la sapienza è superiore alla stoltezza quanto la luce alle tenebre”.
Si chiede, infine, “quale bene ci sia per gli uomini, un bene che essi possano realizzare nei giorni contati della loro vita”. E’il primo accenno a ciò che, più di tutto, sottovaluta ogni attività e ogni successo degli uomini. “i giorni contati della loro vita”: Di fronte alla morte che incombe e che insegue ognuno col fiato sul collo, ogni cosa diviene vana e senza senso. 



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