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		Rohde e l'anima
 
		Erwin Rohde  nacque ad Amburgo 
		nel 1845 e morì a Heidelberg nel 1898. Egli è famoso per due "cose": per 
		aver scritto Psiche, culto dell'anima e credenza nell'immortalità 
		presso i greci, e soprattutto per essere stato l'amico del cuore di 
		F. Nietzsche. Dedicheremo a questa sua importante opera un breve saggio, 
		ma prima vorremmo succintamente parlare di questa importante amicizia. 
		Lo facciamo per due ordini di motivi: 1° per completezza del nostro 
		breve studio; 2° perché, con nostra grande sorpresa, in tutta questa sua 
		opera, Rohde non cita mai il suo amico fraterno Friedrich Nietzsche (Rocken 
		1844 - Weimar 1900), verso cui, a nostro parere, era debitore di 
		qualcosina.Nel 1865 Nietzsche si 
		immatricola all'Università di Lipsia nella facoltà di Filologia 
		Classica. Qui conosce Rodhe. Massimo Fini, nel suo Nietzsche, 
		l'apolide dell'esistenza, ci informa che era un ragazzo alto, bello, 
		snellissimo, sensibile e  pieno di temperamento, che lui e Friedrich 
		stavano insieme tutta la giornata fra studi, chiacchierate, passeggiate, 
		concerti, teatri. I loro rapporti di amicizia si sarebbero guastati alle 
		prime opere filosofiche di Nietzsche. Giorgio Penzo, nel suo 
		Nietzsche allo specchio, ce lo descrive come scontroso, testardo e 
		solitario. Chi volesse sapere di più su tale straordinaria amicizia può 
		leggere il corposo epistolario Nietzsche-Rohde, che abbraccia l'arco di 
		9 anni, dal 1867 al 1876, e che, a detta di Penzo, "può essere 
		considerato nella letteratura mondiale tra i più belli nel suo genere" 
		(Op. cit. pag. 17).
 Diciamo subito che 
		quest'opera, scritta da un filologo di fama internazionale, è per 
		addetti ai lavori (le migliaia di citazioni in lingua originale lo 
		testimoniano), ma può essere agevolmente letta anche da non addetti. 
		Psiche  è un classico nel suo genere, e chi vuole affrontare un 
		serio studio sull'anima non può prescinderne.
 La prima cosa che Rohde ci fa 
		notare nella sua introduzione alla prima edizione è che la religione, 
		presso i greci, non nasce da libri religiosi in  cui riconoscere il 
		senso profondo di essa, e che unico documento della vita religiosa greca 
		sono le opere dei poeti e dei filosofi. Questo è verissimo, ma basta 
		prendere in mano e sfogliare una qualunque storia delle religioni, per 
		rendersi conto d'un fatto: in ogni luogo e in ogni tempo la religione 
		nasce ad opera del misticismo. In greco Musticos, ossia mistico,  vuol 
		dire  "che riguarda l'iniziato ai misteri", e cioè colui che in qualche 
		modo è riuscito a unire la propria anima al Divino. Questo vuol dire 
		innanzitutto che il mistico, in qualche modo ha scoperto la sua vera 
		essenza, ne ha tastato i "confini", ne ha percepito le origini, e 
		soprattutto ne ha sperimentato l'esistenza. Quando Platone, con la sua
		seconda navigazione, darà vita alla metafisica filosofica 
		codificata, un fiume sotterraneo di misticismo, che secondo noi ha 
		bagnato pure lui, ne ha preparato l'avvento. Né ci meravigliermmo se un 
		domani, qualche archeologo, qualche filologo, od uno scopritore 
		occasionale portasse alla luce tracce documentate di questo fiume. 
		Pensare che una religione nasca esclusivamente dalla poesia o dalla 
		speculazione filosofica, ci pare proprio impossibile: solo l'esperienza 
		di un mistico può creare una religione e una fede. Se vuoi far credere a 
		qualcuno che esiste Parigi, ne devi mostrare la foto o un documentario; 
		se vuoi che qualcuno creda nell'esistenza di un'anima e di un Dio, è 
		necessario darne prova in qualche modo. Quelle del poeta e del filosofo 
		possono essere sì intuizioni molto vicine all'essenza della religione, 
		ma la sostanza del Giudaismo, del Buddhismo, dell'Induismo, del 
		Cristianesimo, dell'Islamismo ecc., sta nella "Santità" dei loro 
		fondatori, nelle loro opere. Insomma, un incendio può scoppiare solo se 
		si accende un vero fuoco, e non un racconto in versi del fuoco o un 
		quadro con fiamme dipinte. Ma nonostante queste nostre convinzioni, dal 
		punto di vista storico, archeologico, filologico, ecc., Rohde ha 
		perfettamente ragione: le opere dei poeti e dei filosofi sono gli unici 
		documenti della religione greca. E' per questo che il nostro filologo 
		amico di Nietzsche, fin dalle prime pagine della prima parte della sua 
		opera, dirige la sua attenzione alla fede e al culto delle anime nei 
		poemi omerici. E' nell'Iliade e nell'Odissea che incontriamo per la 
		prima volta psiche (l'anima): essa fa la sua comparsa solo 
		nel momento in cui il corpo muore, sprofonda nell'Ade, e come un'ombra 
		comincia a vagare. Rohde si chiede come pensare questa psiche, e 
		conclude che il suo nome designa qualcosa di aereo, simile al soffio, 
		"che nel vivente si manifesta nell'alito". Quando sopraggiunge la morte 
		essa lascia il corpo dalla bocca o dallo squarcio di una ferita. Ma chi 
		è il vero uomo, il corpo o l'anima? Secondo Omero, dice il nostro 
		autore, "l'uomo esiste due volte, l'una nella sua forma sensibile, 
		l'altra nella sua immagine invisibile, che si libera solamente colla 
		morte".  E se i popoli primitivi attribuivano grande potenza alle anime, 
		Omero non parla di alcuna potenza dell'anima nel mondo dei vivi. 
		Tuttavia,  il culto delle anime, nei suoi poemi, è molto sentito, anche 
		se, una volta giunte all'Ade esse non hanno più alcuna importanza. Rohde 
		si sofferma sui passi dell' Iliade (morte e funerali di Patroclo) e 
		dell' Odissea (discesa all'Ade di Ulisse) in cui si parla di anime dei 
		morti.
 Ma a volte, alcune anime, per 
		volere degli dei vengono rapite e condotte all'Isola dei beati, che però 
		fa ancora parte di questo mondo, pur essendone ai confini. Sono i Campi 
		Elisi. Tutto ciò ricorda molto i "rapimenti" biblici di Enoc ed Elia.
 Rohde, dopo avere diffusamente 
		parlato delle divinità delle caverne, del culto delle anime e degli eroi 
		(questi ultimi assomigliano tanto ai figli nati dall'unione fra i figli 
		di Dio e le figlie degli uomini in Genesi 6, 1-4: "Quando gli uomini 
		cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli 
		di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per 
		mogli quante ne vollero… i figli di Dio si univano alle figlie degli 
		uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi 
		dell'antichità, uomini famosi") affronta i Misteri di Eleusi.  
		Questi si celebravano nei mesi di Febbraio e Settembre in onore della 
		dea Persefone e di sua figlia Demetra. Il loro scopo pare fosse quello 
		di assicurare l'immortalità e la rinascita. Ma i dettagli di tali 
		misteri non si conoscono. Potrebbe perciò tornare utile ripassare il 
		mito di Demetra, Persefone (la Proserpina dei romani) e Ades (il Plutone 
		dei romani). Demetra è figlia di Crono e di Rea, e perciò sorella di 
		Zeus. Per i Greci essa era dea della fecondità della terra e della 
		vegetazione. Quando sua figlia Persefone era Core (cioè fanciulla), un 
		giorno, mentre si trovava in compagnia di ninfe in un campo fiorito, fu 
		rapita da Ades che con una quadriga la portò agli inferi. La madre, 
		disperata, si vestì di nero e cominciò a girare la terra in cerca di sua 
		figlia. Infine, saputo il nome del rapitore, si rivolse a Zeus perché 
		la  liberasse, e per obbligarlo a farlo rese sterile tutta la terra. La 
		razza umana era in pericolo di estinzione. Intanto però, Persefone si 
		era innamorata di Ades ed era divenuta regina degli inferi. Si stabilì 
		allora che essa sarebbe stata con la madre due terzi dell'anno, e col 
		marito, un terzo. E così la terra riprese a dare i suoi frutti. Ora, 
		quando Demetra, disperata, cercava sua figlia, si trovò a passare da 
		Eleusi, e siccome gli abitanti di tale città l'avevano accolta bene ed 
		avevano eretto un tempio in suo onore davanti alla città, in segno di 
		gratitudine, insegnò loro il culto sacro, " e fece loro conoscere le 
		sacre orgie". In origine il segreto di tali riti fu rivelato ai quattro 
		principi della città e ai loro discendenti. La promessa solenne per chi 
		avesse partecipato a tali cerimonie era particolare: "Beato l'uomo, che 
		ha veduto queste sacre funzioni: ma chi non è iniziato e non ha 
		partecipato alle sacre cerimonie, non avrà uguale sorte dopo la morte, 
		nelle cupe tenebre dell'Ade" (Psiche - Rohe - ed. Laterza, pag. 
		233). Da Eleusi, poi, in Atene quello eleusino divenne culto di stato, a 
		cui si mescolarono altri culti locali.
 A questo punto Rohde fa 
		un'affermazione importante, relativa alla discussa tesi secondo cui 
		dottrine orfiche siano penetrate nei misteri di Eleusi, che noi 
		riportiamo: "Chi non si accontenta delle ciarle solennemente vuote 
		sugli Orfici ed affini, ma prende a considerare le dottrine, ben 
		distinte e precise,  degli Orfici sopra gli dei e le anime umane, 
		scorgerà facilmente che tutto impedisce di  credere che anche soltanto 
		qualcuna di esse sia penetrata nella cerchia delle concezioni dominanti 
		ad Eleusi. Esse non avrebbero potuto che distruggerla" (op.cit. Pag. 
		237).  E in una nota relativa a tale passo, Rohde precisa che "…Nemmeno 
		gli antichi giunsero mai ad affermare che Orfeo, il gran maestro di ogni 
		possibile misticismo, abbia qualche relazione particolare colle feste 
		eleusine: come dimostra il Lobeck…".  Una cosa è certa: la festa era un 
		collettivo rito purificatore, ma quello che avveniva all'interno del 
		tempio nessuno lo sa. Ed il nostro filologo sottolinea come il mistero 
		imposto agli iniziati ed agli Epopti sia stato ben mantenuto. La cosa 
		importante ai fini del nostro discorso è che ai partecipanti alla festa, 
		ed a maggior ragione agli iniziati, veniva assicurata ricchezza in vita 
		e una sorte migliore dopo la morte. Solo agli iniziati ai misteri "è 
		concesso vivere veramente nell' Ade". E sono state queste promesse di 
		immortalità ad attrarre moltissimi a partecipare alle feste eleusine. 
		Promesse che non venivano fatte nelle cerimonie segrete: tutte le fonti 
		concordano. In altri termini, tale immortalità dell'anima non scaturiva 
		da alcuna interpretazione dei misteri: era data per certa. E qui Rohde 
		attacca apertamente quei mitologi e storici delle religioni che si 
		tenevano tanto più fermi al principio  "che nelle rappresentazioni dei 
		misteri eleusini abbia celebrato le sue vere orge la religione 
		naturale greca" che essi avevano scoperto.  Secondo costoro "Demetra 
		sarebbe la terra, Cora-Persefone, sua figlia, la sementa: il rapimento e 
		il ritorno di Cora significherebbero il sotterramento del seme nella 
		terra e lo spuntare del germoglio, ovvero, con una formulazione più 
		larga, l'annuale perire e rinnovarsi della vegetazione" (pag. 241 op. 
		cit.) Insomma tutta un'allusione all'anima umana che muore per poi 
		rivivere. Secondo il nostro studioso, tutto ciò è da dimostrare. Al 
		greco di quel tempo, "questa elevazione estetica dell'anima al 
		sentimento della propria essenza divina", rimase estranea 
		relativamente ai misteri di Eleusi. Questo accadrà con Platone. Ad 
		Eleusi, dice Rohde " s'insegnava non che l'anima liberatasi dal corpo 
		vive, ma come vivrà" (id. pag. 243). Ed alcune pagine dopo, 
		in una nota,  aggiunge che "ad Eleusi non venivano prodigati 
		insegnamenti di natura teologica o morale formulati con parole.
 Ad un certo momento, in 
		Grecia nasce il pensiero dell'immortalità dell'anima per via della sua 
		natura divina. Esso è figlio del misticismo, una sorta di seconda 
		religione che dapprima si diffuse in singole sette, e poi esercitò la 
		sua influenza in alcune scuole filosofiche. Fu così, ci spiega Rohde, 
		che nacque il concetto fondamentale di ogni misticismo: "quello 
		dell'unità essenziale, dell'unione dello spirito divino con l'umano da 
		ottenersi per mezzo della religione" (Id. pag. 278). La credenza 
		nell'immortalità dell'anima appare in Grecia per la prima volta "nelle 
		dottrine di una setta mistica che si univa nel culto di Dioniso". Il 
		culto di questo dio aveva "carattere quasi orgiastico" ed era molto 
		simile al culto della madre Cibele presso i Frigi. "La festa era 
		celebrata sui monti, nella notte oscura, alla luce malferma delle 
		fiaccole. Risonava una musica rumorosa; squilli di cennamelle bronzee, 
		un cupo tonare di grandi timballi e, fra mezzo, il suono profondo dei 
		flauti 'che invitano alla follia' …Eccitata da questa musica selvaggia 
		la schiera dei festaioli danza tra le alte grida di giubilo. Di canti 
		non sappiamo nulla; la violenza della danza, togliendo il fiato, li 
		rendeva impossibili…era una danza circolare furiosa, vorticosa, 
		precipitosa,  con la quale la schiera degli invasati percorreva di corsa 
		le pendici dei monti. Per lo più erano donne che si aggiravano in queste 
		danze vorticose, fino a sfinirsi; erano camuffate stranamente: 
		indossavano delle 'bassare', lunghe vesti fluttuanti, di pelli di volpe, 
		pare; sulle vesti, pelli di capriolo; sul capo, corna. I capelli 
		ondeggiavano selvaggiamente; nelle mani hanno serpenti, sacri a Sabazio; 
		brandiscono pugnali o tirsi le cui punte sono nascoste tra l'edera. Così 
		esse infuriano fino alla massima eccitazione di tutti i sensi, poi, 
		invase da 'sacro furore', si precipitano sugli animali scelti per il 
		sacrificio, li afferrano, li  sbranano, strappano coi denti la carne 
		sanguinolenta, la mangiano avidamente, cruda" (id. pag. 283-284). 
		Dopo di che venivano colti da un'estasi ed avevano delle visioni. Lo 
		scopo da raggiungere era proprio questa fortissima eccitazione. Il dio è 
		presente nella festa tra i suoi adoratori invasati, oppure è nei pressi 
		ed il baccano della festa serve a farlo avvicinare ancora di più. Infine 
		esso compare fra le donne che danzano in forma di toro. 
		Nell'eccitazione, chi riesce a diventare una sola cosa col dio viene 
		chiamato Sabos, Sabazios. L'eccitazione poteva essere aumentata con 
		bevande eccitanti. Allucinazioni, estasi, ecc., si spiegavano dicendo 
		che l'anima era uscita fuori  dal corpo. "E' una mania religiosa, una 
		santa pazzia in cui l'anima, fuggita dal corpo, si unisce con la 
		divinità" (Id. pag 291). Ovviamente, in quello stato di sovreccitazione 
		si prediceva il futuro.  Naturalmente il pensiero corre alle nostre 
		moderne discoteche, dove al suono di musiche fortemente ritmiche, dopo 
		essersi eccitati con bevande alcooliche, con spinelli, o peggio ancora 
		con droghe pesanti, i nostri giovani, al lampeggiare di luci 
		psichedeliche, si rovinano il corpo e la mente. Ma ci riserviamo di 
		approfondire il paragone un'altra volta, per non appensantire questo 
		breve saggio. Diciamo solo che, mentre in quelle antiche e furiose danze 
		greche era presente l'elemento religioso, in queste ridicole discoteche 
		è presente il più assoluto dei nichilismi, il materialismo puro. Questi 
		giovani hanno letto Nietzsche e tutta la numerosa schiera di 
		pseudo-filosofetti che ne hanno fatto il profeta del nulla, decretando 
		la fine di ogni metafisica facendo da cassa di risonanza al grande 
		pensatore tedesco, che drogando ogni singola sillaba della sua corposa 
		opera con un fuende pericolosissimo, ha contagiato le menti di 
		tanti cervelli privi di originalità, che da cento e passa anni non fanno 
		altro che ripetere apertamente o velatamente l'apologia del niente di 
		Nietzsche. Si direbbe che con questo filosofo, non sia morta la 
		metafisica soltanto (come egli asseriva, cosa che noi non condividiamo), 
		ma il mero pensare: dopo di lui, non più pensatori, ma vuoti imitatori, 
		seguaci, fanatici tifosi. Questi filosofetti, abbagliati dalla "malata" 
		poesia nietzschiana (pure noi ne abbiamo subito il fascino per qualche 
		tempo, ma poi ne siamo guariti), hanno fatto la fine dei lotofagi: 
		inebetiti. Non sono più stati in grado di pensare. Tutti a dire che 
		Platone si è inventato il concetto di anima che prima non esisteva; che 
		ha creato il concetto di metafisica; che ha ridotto il povero corpo a 
		prigione dell'anima; che si è inventato un quasi Dio; ecc. ecc. ecc. Ma 
		di questo parleremo in un apposito saggio.
 Certo, pure i dervisci 
		danzanti si "ubriacano" di danza, ma a spingerli a danzare è un forte 
		amore per il divino, un'esigenza religiosa e mistica che nulla ha a che 
		vedere col vuoto assoluto che circonda le migliaia di burattini che in 
		discoteca sono mossi solo dai sensi staccati da ogni e qualsiasi anima, 
		da ogni e qualsiasi Dio, da ogni metafisica, idealità, moralità, etica, 
		da ogni progetto che non sia quello di celebrare il nulla, lo zero 
		assoluto, la morte. Chiusa parentesi.
 A questo punto, secondo il 
		nostro filologo, alimentando il fuoco del culto estatico, indirizzando 
		il pensiero verso un Dio unità del tutto, sull'essere eterno che sta a 
		fondo di ogni cosa, e sulla metafisica in genere, tali pratiche 
		religiose popolari danno vita al misticismo. Misticismo che per Rohde "nasce 
		dalla fermentazione torbida e imperfetta di pratiche religiose popolari" 
		(Id. pag. 303). Quest'ultima affermazione non la condividiamo.  Noi 
		vediamo il popolo come il "semplice", come la terra più adatta ad 
		accogliere insegnamenti altissimi che solitari 
		mistici-veri-filosofi-e-saggi di ogni tempo hanno sparso come semi di 
		prima qualità in quest'humus fertile. Non ci scordiamo che il Maestro 
		Gesù scelse per discepoli non dei laureati o dei rabbini, ma dei 
		pescatori e degli umili in genere, e fece di essi dei maestri di 
		spirtitualità che per duemila anni hanno accompagnato milioni di 
		ricercatori lungo il sentiero della ricerca della verità e della 
		conoscenza di se stessi. Il troppo cervello atrofizza il cuore e 
		l'intuizione. Solo il silenzio interiore può mettere la museruola a 
		quell'ego gigantesco che non è nulla e che pretende di potere governare 
		su tutto. Il vero filosofo, quello che ama veramente la verità, tacita 
		l'ego senza bisogno di penalizzare il corpo, ma con una moderazione che 
		gli permette di sintonizzare corpo, cuore e mente verso un Divino  che  
		intuisce esserci, dopo avere fatto della propria interiorità uno 
		specchio pulito capace di riflettere non le fantasie malate di chi si 
		eccita contro natura, ma la vera realtà dell'uomo: quell' essere, 
		quell'Io Sono di cui Dio, in Esodo, dice a Mosé. Un Mosé che 
		contatta la sua vera essenza la può solo esprimere, per dirla 
		cartesianamente, così: Io Sono, dunque esisto. Ovvero la parte di 
		Essenza Divina che vivifica la mia carne, i miei sentimenti e la mia 
		mente, può affermare la sua esistenza, solo quando, la sua ombra, 
		l'apparenza-ego, viene smascherata definitivamente per quello che è: 
		nulla. Il filosofo falso è colui che allo specchio ama invece sentire la 
		sua voce roboante, ama ascoltarsi attraverso paroloni che vorrebbero 
		ridurre a pietra il suo pensiero tutt'altro che solido; è colui che, non 
		rendendosi conto di essere una "pianta" unica al mondo, imita altre 
		piante, perdendosi l'occasione di essere quello che è, per emanare il 
		profumo che gli è toccato in dote. Sono questi, lo ripetiamo, non amanti 
		della Sofia, ma tifosi del nichilista di turno, sono amanti della morte 
		e non della vita. Verità e Vita coincidono, e formano la Via. Nella 
		prefazione al volume primo della sua monumentale Storia della 
		filosofia greca e romana,  che invitiamo tutti a leggere, 
		quell'onesto studioso che è Giovanni Reale, chiama costoro "personaggi 
		truccati": "In sostanza, oggi, molti filosofi e cultori della filosofia, 
		o sedicenti tali, restano - per dirla con immagine di moda - in certa 
		misura personaggi truccati, cioe`inautentici, incapaci di 
		prendersi fino in fondo la loro responsabilità. Personaggi, in altri 
		termini, che non vorrebbero rinunciare né all'ambizione filosofica né a 
		quei vantaggi empiricamente più apprezzabili e più concreti che vengono 
		offerti dalla scienza,  dalla tecnica e dalla politica".  (Op. cit. 
		pag. 10). Ma a questi filosofetti sfugge, e ce lo ricorda bene il Reale, 
		che "scienza e tecnica sembrerebbero addirittura un trionfo 
		straordinario della ragione. Si tratta però di una ragione che, una 
		volta smarrito il senso dell'intero, esalta le parti e le colloca 
		al posto dell' intero".  (id. pag. 11). Giovanni Reale, uno 
		dei massimi studiosi della filosofia greco romana e di Platone in 
		particolare, ha perfettamente ragione. Tali pseudo filosofi si 
		appoggiano a scienza e tecnica come a delle stampelle, per ridicolizzare 
		discorsi metafisici che, secondo loro, dalla tecnica e scienza, con la 
		loro sfolgorante luce vengono ad essere ridotti a balbettii del sapere 
		umano. Basta leggere le loro opere (?) per rendersi conto di ciò. 
		Cavalcano i lumi del nichilismo solidificatosi alla base dell'edificio 
		tecnico-scientifico, ed hanno smesso di usare la mente. Ma c'è di 
		peggio. A volte partono da una tesi politica per costruire teorie 
		filosofiche. Siamo alla frutta filosofica. Hanno demandato a scienza e 
		tecnica il supremo compito di conoscere se stessi, ma così facendo 
		otterranno sempre più capillari conoscenze di parti di se stessi e non 
		della loro interezza, ed alla fine conosceranno tutto di questo o quel 
		gene, ma sconosceranno se stessi. A nostro parere, lo "scienziato", più 
		scrupoloso che esista è il mistico. Un esempio per tutti.  Jacob Bohme 
		(che fra parentesi veniva dal volgo - era calzolaio - sig. Rohde) 
		attraverso lo studio della propria totalità ha conosciuto se stesso 
		molto più approfonditamente di quel vescovo che lo perseguitò per tutta 
		la vita e che anziché scavare nella propria miniera, si sporcava le mani 
		nelle caverne degli altri, che oltretutto erano povere di "metalli 
		preziosi" o se volete di "materie prime". Bohme, con i suoi libri, 
		frutto della sua esperienza, quindi veri, ha influenzato filosofi e 
		pensatori di tutta Europa, ed ancora oggi è letto ed apprezzato, 
		nonostante il computer su cui scriviamo, il telefonino che ci consente 
		di raggiungere ogni parte del mondo, nonostante la tecnica e la scienza. 
		Ma, ancor di più: nonostante tanti filosofetti da quattro soldi. 
		Qualcuno di essi, dopo essersi sottoposto ad autoanalisi e ad analisi 
		didattica ed avere letto Nietzsche  crede di avere ottenuto la cattedra 
		d'onnipotenza e d'onnisapienza. Crede di avere il monopolio della verità 
		e si permette di buttare fango sul pensiero di veri filosofi. Ma il 
		tempo sarà giudice, se politica e chiasso non continueranno a comandare 
		anche sul pensiero vero.
 Giovanni Reale conclude la sua 
		prefazione al primo volume sopracitato riportando la profondissima 
		epigrafe scritta da Paul Valéry e che si trova sopra l'ingresso del 
		"Museo dell'Uomo" a Parigi: "Che io sia tomba o tesoro / che parli o 
		taccia / dipende da colui che passa / non dipende che da te / amico non 
		entrare senza desiderio". Ebbene, prendendolo a prestito, noi 
		diciamo parafrasando che, senza autentico desiderio di conoscersi è 
		inutile entrare nella propria interiorità, nella propria miniera, per 
		trovare l'oro dei filosofi: la SAPIENZA. O si è totali, o ci si impegna 
		"con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze", o non si 
		ottiene nulla. Quando un filosofo inforca gli occhiali con lenti 
		colorate politicamente ed osserva se stesso ed il mondo attraverso di 
		esse, è destinato a prendere delle cantonate madornali. La mente del 
		pensatore deve essere aperta a 360°, se no, lo ripetiamo, ci troviamo in 
		presenza non di un amante della Sofia, ma di un tifoso.
 Certo, il tema della danza 
		sfrenata eseguita su ritmi ossessivi e la guarigione dovuta ad essa, ci 
		ricorda anche l'analoga guarigione promossa da movimentatissime 
		tarantate nel tarantolismo pugliese. Ma questo lo diciamo solo come 
		spunto per chi volesse approfondire il tema della psiche anche in quella 
		direzione. Noi non lo faremo per questioni di spazio e di tempo.
 Poco a poco, nelle feste 
		dionisiache entrò anche il dio Apollo e conseguenti oracoli. Tutto 
		questo mentre ci si avvicina a gran passi verso il periodo dell'indagine 
		filosofica. Siamo quindi in un momento di trapasso, e "notizie 
		semifavolose" (così le chiama il Rohde: pag. 344 op. cit.) parlano di  
		"grandi maestri dalla sapienza misteriosa", più maghi che razionali. 
		"Sono tutti veggenti estatici e sacerdoti purificatori". E qui vengono 
		citati Ermotimo di Clazomene che aveva esperienze di distacco 
		dell'anima dal corpo; Epimenide di Creta, di cui si conoscono 
		aspri digiuni,  lunghe estasi dell'anima, rapporti con gli spiriti delle 
		tenebre, e pienezza di sapienza entusiastica. La cosa da sottolineare a 
		proposito di questi visionari, però, è un'altra: già Ermotimo ammetteva 
		(più tardi fece lo stesso il suo concittadino Anassagora) la distinzione 
		tra il puro spirito e la materia in base a sue personali esperienze: "Le 
		estasi dell'anima, di cui Ermotimo stesso e tutta quest'età di veggenti 
		estatici ebbero tanta esperienza; facevano della divisibilità dell'anima 
		dal corpo e della sua esistenza superiore durante la separazione, una 
		cosa ampliamente dimostrata" (Id. pag. 352).  Questa superiorità 
		dell'anima portò a vedere nel corpo un intralcio, un contaminatore, e 
		così "la religione greca parve sul punto di divenire una religione di 
		purità, quasi un bramanesimo e uno zoroastrismo occidentali" (id. 
		pag. 352). La morale, di pari passo, divenne "teologico-ascetica", ed 
		una tendenza alla ascesi si affermò sempre più. Questo, il panorama 
		pre-filosofico. Siamo così arrivati al VI° secolo a.C. ed all'orfismo.
 Orfeo veniva ritenuto 
		l'introduttore del culto di Dioniso. In questo periodo si affermò "una 
		teosofia che tendeva a diventar filosofia, ma tendenza rimase. A questo 
		punto nasce il problema se fu l'orfismo ad influenzare le scuole 
		pitagoriche o viceversa. Secondo Rohde è da escludere questa seconda 
		ipotesi, e rimane nel dubbio la prima. Forse, quando Pitagora venne nel 
		meridione d'Italia attorno al 532 a.C., orfismo e pitagorismo vennero a 
		contatto. Fatto sta che le cosmogonie cominciavano già a presentare gli 
		dei in maniera diversa. "Giove …assorbito in sé il dio ch'è in ogni 
		dove…è divenuto il Tutto" (id.363). I Titani uccisori e smembratori 
		di Dioniso divennero il male, ed il dio smembrato, il bene.  E' qui, 
		nella dottrina orfica che per la prima volta l'uomo viene invitato a 
		liberarsi dai legami del corpo, di cui l' anima è prigioniera. Ed ancora 
		qui, che per la prima volta, col cosiddetto " ciclo delle necessità" 
		(rinascite), si parla "dell'eterno ripetersi di tutti gli stadi della 
		vita già vissuti", che Nietzsche ribattezzerà "eterno ritorno 
		dell'uguale", sia pure con sfumature diverse. E così, l'ascetismo 
		diviene fondamentale per la "liberazione". Nasce il sacerdozio ed il 
		Karma: all'uomo verrà fatto cio` che lui ha fatto ad altri. Solo la 
		purificazione in vita, tramite l'ascetismo e il vegetarianesimo, può 
		liberare le anime da questo ciclo di rinascite.
 Da qui in avanti, Rohde 
		si occupa della filosofia e quindi di come l'immortalità dell'anima si 
		sia affermata non più col misticismo ma con la ragione. Ma noi 
		concludiamo questo nostro breve saggio proprio all'apparire di Talete, 
		il primo filosofo che ha sostenuto l'immortalità delle anime. 
		Riprenderemo il discorso in una altro saggio, che avrà titolo Platone 
		e l'anima, e ci avvarremo degli studi di uno dei più famosi studiosi 
		della filosofia greca: Giovanni Reale, del cui pensiero condividiamo 
		tutto.
 
		Grazie, Natale Missale |