Un sogno di NATALE


Mi trovo in un paese interno della Sicilia, devo giocare una partita di calcio. Qualche ora prima della partita chi mi ospita non c'è: senza chiavi non posso prendere le scarpe. Vado in giro per il paese a chiedere del mio ospite. In un vicoletto trovo il corpo di un prete morto: è don Abbondio! Mancano pochi minuti alla partita. Finalmente il tizio torna dal lavoro, ho le chiavi e posso entrare per prendere l'occorrente. Mi avvio verso il campo di calcio. Mentre percorro una via, una valanga di miele vien fuori dalle spalle di una costruzione, la sommerge tutta e scorre giu’ come un fiume. Lo assaggio, è buono. Qualcuno ne raccoglie una pentola, mentre qualcun altro dice che è ossidato e umido e che pertanto non è buono. Penso che la storia abbia a che fare con la cottura alchemica, perché subito dopo vedo in aria due quadrati sovrapposti e nella mente mi si forma una strana parola: Orovis. A questo punto decido che è meglio rifare il percorso verso il campo di calcio partendo da casa mia, e così mi trovo lì. Mentre controllo il borsone entra una famiglia di slavi molto affamati. Il vecchio dice di essere un esperto Yoghi, ed anche il giovane. La moglie prima di uscire prende un recipiente pieno di pasta cotta e se lo porta. Per fortuna ne lascia un po'. "Va bene che siete affamati dico fra me - ma se non mangio qualcosa, come posso giocare? Mia madre li manda via. Mi sveglio.

 

 

 

Sogno Natale - interpretazione di  Franca

La Sicilia e’ il luogo di origine del sognatore ma anche una terra molto particolare  sia per le sue vicende storiche che per le sue bellezze naturali, in antico era detta “Trinacria” dai suoi tre promontori che formano un triangolo in mezzo al mare: trovarsi in un paese interno della Sicilia  vuol dire trovarsi  nel cuore di se stessi; dover giocare una partita di calcio, vuol dire dover affrontare una sfida interna in cui si puo’ vincere o perdere. Ma..mancano le scarpe: come si puo’ giocare senza scarpe? Per il gioco del calcio le scarpe sono fondamentali: il sognatore sta cercando di rimandare la sfida. Eppure va in giro per cercare il suo “ospite” quello che ha le sue scarpe e trova un “prete morto” in cui riconosce don Abbondio: tutti sappiamo che don Abbondio di manzoniana memoria e’ il prete pusillanime e meschino che pur di non rischiare la pelle tradisce i suoi fedeli (Renzo e Lucia); se dunque e’ “morto” il coraggio di giocare questa difficile “partita” interiore dovrebbe esserci, infatti trovando le “chiavi” della casa  in cui sono custodite le famose “scarpe” il sognatore puo’ avviarsi verso il “campo” (= il suo personale Kurukshetra). Questa decisione provoca “la valanga di miele”, che nello stesso sogno viene riconosciuta come relativa alla “cottura alchemica”. Il miele e’ l’oro naturale,  il nutrimento per eccellenza ( ricordiamo che Israele e’ la Terra Promessa in cui scorrono latte e miele e che nettare e ambrosia sono il cibo degli dei); questo miele scorre come un fiume e  puo’ essere raccolto da chiunque;  il sognatore lo trova buono,  anche se una parte di lui e’ ancora diffidente ( e’ ossidato= ha preso “aria”, e’ umido= ha preso “acqua” cioe’ non e’ abbastanza secco e puro) ma ecco che un’immagine di perfezione gli compare dinanzi agli occhi: la stella ad otto punte,  relativa all’ottava Sephirah Hod, che si riferisce al Mercurio e al 4+4 della Giustizia e subito dopo la mente forma la parola “Orovis” = Forza dell’Oro: quel Miele e’ la Forza dell’Oro e si conquista giocando, cioe’ accettando le sfide dell’Avversario. A questo punto il sognatore decide di cambiare la strategia della partenza per recarsi a giocare: partire da “Casa” e’ molto piu’ sicuro e piu’ probabile la Vittoria. Torna  dunque a Casa e inizia a controllare il borsone, cioe’ il suo bagaglio personale per la batteglia veniente e qui trova una sorpresa: proprio in casa ci sono estranei:  slavi e affamati (slavo= schiavo, affamato= in cerca disperata di energia) questi personaggi, un vecchio, un giovane (dicono di essere Yoghi, ma forse mentono) e una “moglie” che porta via il cibo gia’ cotto, destano preoccupazione e apprensione nel sognatore, ma per fortuna la Madre li manda via. Questa ultima parte del sogno rivela il timore di subire delle perdite di energia da parte di  ospiti indesiderati ma a cui non si puo’ negare “cibo” (pensieri e sentimenti che si trovano gia’ in “Casa”) Ma la sicurezza e’ resa dalla figura materna che e’ in grado di “mandarli via” e sottintende che la partita sara’ giocata senza ulteriori indugi (mi sveglio).

Grazie F. V.


 

Fantasticherie interpretative di Maurizio

“Mi trovo in un paese interno della Sicilia, devo giocare una partita di calcio.”
Una partita di calcio in un paese interno della Sicilia deve, probabilmente, avere un valore affettivo notevole per il sognatore: la terra natale, una competizione schietta, sincera, cameratesca, dove l’aggressività è sublimata nel divertimento, nella collaborazione del gioco di squadra, nella bonaria ironia e nello scherzo semplice e affettuoso che tutta la situazione comporta. La partita è anche una metafora positiva della vita: difesa, attacco, coordinazione, collaborazione, obiettivi semplici e chiari, sforzo sano e sereno. Non a caso, soprattutto in certi anni, anche l’oratorio di qualsiasi chiesa o comunità religiosa italiana, prevedeva il campetto di calcio come luogo sia di ‘scarico’ delle tensioni che di educazione.

“Qualche ora prima della partita chi mi ospita non c'è: senza chiavi non posso prendere le scarpe. Vado in giro per il paese a chiedere del mio ospite.”
Mancano, però, le scarpe: elementi essenziali paragonabili, nel calcio, all’armatura del guerriero sul campo di battaglia. Senza scarpe, poi, può essere difficile ‘tenere i piedi per terra’, forse il sognatore sente di essere troppo ‘idealista’. Il pallone stesso è un simbolo di completezza, di concretezza, una sferica immagine dell’integrazione o del controllo che si può avere sul proprio ‘mondo’. Inoltre mancano anche le chiavi e l’ospite: la partita sembra davvero irraggiungibile o improponibile. In effetti il mondo è oggi complicato, sfuggente, è difficile ritrovare la semplicità e la genuinità di un tempo, sia nei rapporti interpersonali che all’interno di sé stessi, fra le proprie componenti psico-fisiche. Il sognatore, però, non si arrende e cerca di ritrovare ospite, chiavi e scarpe, e in ciò assomiglia ad un antico viandante, un pellegrino in ricerca.

“In un vicoletto trovo il corpo di un prete morto: è don Abbondio!”
In effetti il parroco di campagna è una vecchia figura superata, ormai priva di vitalità perché ne conosciamo i limiti e, talvolta, anche la chiusura, la grettezza, la professione di fede non del tutto pura e convinta perché non suffragata dalla generosità del coraggio e dall’azione, come nel Don Abbondio del Manzoni. Evidentemente, in quest’immagine, il sognatore esprime la sua critica ad una religiosità tradizionale – sì - ma cristallizzata sulle proprie posizioni. Si intuisce, come in altri sogni dell’amico Natale, una propensione elettiva, del cuore, viscerale e ideale, per il cristianesimo-cattolicesimo delle origini; ma si avverte anche la delusione rispetto ad esso, e ciò spiega la ricerca di approfondimento spirituale con la sperimentazione e lo sviluppo di altre modalità.

“Mancano pochi minuti alla partita. Finalmente il tizio torna dal lavoro, ho le chiavi e posso entrare per prendere l'occorrente. Mi avvio verso il campo di calcio. Mentre percorro una via, una valanga di miele vien fuori dalle spalle di una costruzione, la sommerge tutta e scorre giu’ come un fiume.” Improvvisamente si profila una soluzione: tutti gli elementi tornano al loro posto e la “partita” è ancora possibile, aperta. Il sognatore sa che attraverso la ricerca può ricomporre sé stesso, ritrovare gli entusiasmi di un tempo. Non solo: il fiume di miele costituisce una grande, improvvisa e sorprendente benedizione. Il miele corrisponde simbolicamente all’”ambrosia”, al cibo degli dei, all’”amrita” vedico, al nutrimento spirituale: è il distillato del lavoro delle api e, pertanto, rappresenta l’essenza della “cerca” interiore. Le api raccolgono gli elementi necessari andando di fiore in fiore così come fa il sognatore quando frequenta i vari esoterismi, le tecniche e le religiosità eterogenee di cui si occupa; come le api, egli trae da queste frequentazioni la propria elaborazione, il succo della riflessione, dell’esperienza e della propria personale “costruzione”.

“Lo assaggio, è buono. Qualcuno ne raccoglie una pentola, mentre qualcun altro dice che è ossidato e umido e che pertanto non è buono. Penso che la storia abbia a che fare con la cottura alchemica, perché subito dopo vedo in aria due quadrati sovrapposti e nella mente mi si forma una strana parola: Orovis. A questo punto decido che è meglio rifare il percorso verso il campo di calcio partendo da casa mia, e così mi trovo lì.”Questa benedizione è curiosamente inaspettata: quasi che il nostro ricercatore sia portato a sentire il risultato delle sue elaborazioni come qualcosa di non suo, proveniente da fuori di sé: in un certo senso egli ha ragione, perché si tratta di una risposta del “profondo”, del cosiddetto inconscio, proviene da “dietro” la costruzione cosciente. Il sognatore, quindi, non conoscendo la natura e la provenienza del “miele”, è portato a valutarlo anche con una certa circospezione: sembra “buono”, qualcuno – qualche parte di sé – ne fa persino provvista; tuttavia qualcun altro – altri complessi parziali della sua personalità – lo trova “ossidato” e “umido”: forse un’allusione ad “aria” ed “acqua” che, nella cultura del sognatore, corrispondono alla cosiddetta struttura “astro-mentale”, cioè all’emozionalità e al pensiero; in questo senso il miele qui elaborato sarebbe un prodotto limitato, dalle caratteristiche troppo sentimentali o, all’opposto, cervellotiche. Natale, a questo punto, pensa all’alchimia e sembra chiedersi a che punto sia la “cottura” del composto; egli sa che il risultato dovrebbe essere “Oro-vis”, la virtù (vis) aurea, oppure di Oro – figlio di Isi ed Osiri – cioè dell’uomo rinnovato, frutto della fusione dei “piani” materiale e spirituale (i due quadrati sovrapposti).  Però è meglio, decide il sognatore, ritrovare i percorsi familiari, quelli già collaudati, anche a costo di ricominciare da capo: tutta questa elaborazione alchemica rischia di essere soltanto una sovrabbondante costruzione mentale.

“Mentre controllo il borsone entra una famiglia di slavi molto affamati. Il vecchio dice di essere un esperto Yoghi, ed anche il giovane. La moglie prima di uscire prende un recipiente pieno di pasta cotta e se lo porta. Per fortuna ne lascia un po'. "Va bene che siete affamati dico fra me - ma se non mangio qualcosa, come posso giocare? Mia madre li manda via. Mi sveglio.”La parola ‘slavi’ significa originariamente ‘schiavi’, e mi fa pensare all’atteggiamento che i popoli antichi avevano verso gli stranieri e le popolazioni conquistate o da conquistare: li consideravano barbari e potenziali servi. Forse i greci e i romani, in quegli occasionali contatti che ebbero con le popolazioni dell’India, e in particolare con i cosiddetti ‘yogi’ che essi chiamarono ‘gimnosofisti’, potevano aver avuto un’impressione del genere: di trovarsi di fronte a ‘schiavi’ affamati e avidi. Anche il nostro sognatore, in questo particolare racconto onirico, esprime un’analoga diffidenza verso l’oriente, un certo sprezzo. Dopo aver rappresentato la religione delle origini con un simbolico ‘Don Abbondio’ privo di vita, ora raffigura le tecniche o le religioni orientali come degli yogi cupidi di cibo, lasciando intendere che esse possono essere risucchianti, possono privarci del nostro nutrimento, della nostra autonomia, e possono anche nascondere speculazioni economiche, di moda, di mercato. Come rispetto all’alchemico ‘miele’ astro-mentale Natale aveva preferito la concretezza della via di casa, ora rispetto ai ‘gimnosofisti’ preferisce sottolineare il sano desiderio di giocare a calcio e si lascia difendere dalla madre, il rifugio primario, quello genuino e concreto delle origini. Il sognatore si ‘sveglia’, quindi, avendo eliminato tutto, avendo preso le distanze da tutte le vie filosofico-religiose conosciute. Gli rimane la vita vera, reale, con ‘i piedi per terra’: la ‘partita’, la sfida, il sano, ‘fisico’,

 

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